Flusso di pensieri a Monte Morello. 2006

Flusso di pensieri a Monte Morello. 2006

Lasciando a malincuore un punto che dava su uno splendido panorama all’imbrunire, per prendere la strada del ritorno... Memorie di analoghe esperienza, come al trampolino di Oslo con vista sul fiordo, e così via. Senso della finitezza delle esperienze sensoriali, gratificanti: la vista, in questo caso, altre volte un concerto, altre volte ancora un incontro, un rapporto, che vorremmo prolungare ma che finisce inesorabilmente. Da bambino usavo cercare di immagazzinarne il ricordo per poi riviverlo la sera, prima di addormentarmi. Anche ora cercavo di imprimermi nella mente l'immagine, come per conservarla, 'salvarla' e poterla richiamare'...
Invece mi veniva da contrapporre l’esperienza dei sensi, finita, che dovevo abbandonare, con l’esperienza del pensiero, come attività della mente che invece non ha il senso del finire. In effetti non finisce mai. Non abbiamo la percezione della fine della nostra attività di pensiero, e nemmeno abbiamo l’esperienza dell’inizio. Quando ci addormentiamo e ci risvegliamo non abbiamo percezione del momento di distacco, per così dire, ma del fatto di pensare, e così esserci. Non è solo cogito, ergo sum, è il senso di una esperienza nettamente diversa da quella del contatto sensoriale col mondo esterno.
Per così dire quella del pensiero è un’esperienza che non ha inizio né fine, non ci ricordiamo di quando abbiamo ‘cominciato a pensare’ da piccoli, e non abbiamo esperienza, nessuno ce l’ha e può ricordarla, di quando moriamo e la nostra attività mentale si ferma. C’è un senso di eternità: assenza di inizio e di fine, in cui c’è però il senso del passare del tempo, legato alla memoria. L’esperienza dei sensi , del guardare, fare, chiacchierare, in qualche modo occuparci di qualcosa della realtà esterna, ci distoglie dalla percezione di questa esperienza interna. Che invece è cercata attivamente nelle filosofie orientali escludendo appunto, con tecniche varie, le percezioni esterne per favorire la ‘meditazione’. Che forse è l’esperienza cercata dai mistici, dagli eremiti, riducendo al massimo i contatti con il mondo esterno, reale, umano. Da qualcuno è temuta ed evitata ricorrendo a fonti di esperienza esterna, compagnia, sensazioni, fonti di eccitazione, droghe, iperattività, ecc. In certi casi era usata, la deprivazione sensoriale, per produrre le psicosi sperimentali.
E in ultima analisi potrebbe essere connessa all’idea di eternità e alla sua personificazione o comunque concettualizzazione come idea di Dio. Esperienza dell’uomo con se stesso, contrapposta all’esperienza col mondo esterno: senso di infinito contrapposto al finito, dell’eterno contrapposto al caduco. Esperienza che può essere intollerabile e sfociare nella psicosi, o fonte di percezione mistica. Il contatto con Dio dei mistici, immediato, senza mediazioni esterne, sarebbe quindi l’esperienza della propria mente, libera da ‘distrazioni’ sensoriali. Da qui forse l’immanentismo di certe concezioni religiose o filosofiche, come quella di Spinoza, o altri.
La percezione di contatto con il tutto, il senso oceanico che prese Freud sull’acropoli di Atene, l'arresto del tempo di Faust, il dolce naufragar di Leopardinell'infinito, è forse la sovrapposizione dell’una esperienza con l’altra, con perdita dei confini, fra sé e altro da sé, come nelle depersonalizzazioni? E qualcosa porta alle allucinazioni. L’idea di Dio nasce, in questa linea, come proiezione all’esterno di sé del senso di eterno, infinito, illimitato che viene percepito nel flusso dell’attività mentale, contrapposto alla finitezza e caducità delle esperienze di contatto con l’altro, l’esterno da sé? Quasi fosse meno perturbante l'infinito nella realtà esterna, anzi 'sovrannaturale', che l'infinito interno nella mente, in cui l'individuo teme a ragione di perdersi.

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