L'industria farmaceutica nasconde i dati, secondo il NEJM.

New England Journal of Medicine

Un nuovo studio ha evidenziato che i produttori di antidepressivi come il Prozac e il Paxil non hanno mai pubblicato i risultati di circa un terzo degli studi farmacologici da loro condotti per ottenerne l’approvazione governativa, fuorviando i medici e i consumatori circa la reale efficacia del farmaco.

Negli studi pubblicati, in cui si confrontava l’efficacia dell’antidepressivo rispetto al placebo, circa il 60% dei pazienti cui veniva somministrato il farmaco presentava un significativo miglioramento della depressione, rispetto a circa il 40% di quelli che miglioravano senza assumerlo (pazienti trattati con placebo). Ma se si includono gli studi meno positivi e mai pubblicati nella letteratura scientifica, il vantaggio dell’antidepressivo sul placebo si assottiglia: il nuovo lavoro, pubblicato su The New England Journal of Medicine, evidenzia che i farmaci risultano ancora migliori del placebo, ma con una differenza modesta.

Una precedente ricerca aveva trovato un simile errore statistico nei confronti dei risultati ritenuti positivi per una varietà di farmaci; e molti ricercatori avevano posto in dubbio l’efficacia degli antidepressivi. Questa nuova analisi, che rappresenta una revisione dei dati ottenuti da 74 studi con l’impiego di 12 farmaci, è la più approfondita e aggiornata. E riesce a documentare una grande differenza: mentre il 94% dei lavori con risultati positivi trovarono il modo di giungere alla pubblicazione, di quelli con risultati deludenti o incerti solo il 14% è stato pubblicato.

Questa scoperta probabilmente infiammerà a lungo un dibattito sul modo in cui devono essere riferiti i dati ottenuti dagli studi sui farmaci. Nel 2004, dopo che si venne a sapere che non erano stati pubblicati gli studi con risultati negativi, un gruppo di importanti riviste mediche si trovarono d’accordo nell’interrompere la pubblicazione degli studi clinici che non fossero stati registrati in un database pubblico. Gruppi commerciali, rappresentanti le più importanti case farmaceutiche, annunciarono che le industrie avrebbero iniziato a rilasciare più rapidamente i dati degli studi, sul loro proprio database, clinicalstudyresults.org.

E lo scorso anno, il Congresso ha approvato una legge che ha puntualizzato il tipo di studio e l’accuratezza dell’informazione che deve essere inviata al clinicaltrials.gov, un database pubblico gestito dalla National Library of Medicine. Il sito della Food and Drug Administration (FDA) fornisce un limitato accesso a recenti rassegne degli studi farmacologici, ed i critici ritengono che la navigazione del sito sia un’impresa ardua.

“Questo è uno studio molto importante per due ragioni” ha detto il Dr. Jeffrey M. Drazen, editore del The New England Journal. “Una è che quando si prescrive un farmaco, vorremmo essere sicuri di ragionare con i migliori dati disponibili; voi non comprereste della merce conoscendo solo 1/3 della verità su di essa”.

La seconda ragione è che “si deve avere rispetto delle persone che hanno accettato di sottoporsi alla sperimentazione in uno studio clinico”.

“Queste persone si sono sottoposte ad un certo rischio nel partecipare allo studio, e poi la casa farmaceutica nasconde i risultati?” – si domanda.

Alan Goldhammer, vice presidente per le questioni normative alla Pharmaceutical Research and Manufacturers of America, ha detto che il nuovo studio si è dimenticato di ricordare che l’industria e il governo hanno già preso provvedimenti per rendere più trasparente l’informazione sugli studi clinici. “Il lavoro si basa su dati precedenti il 2004, e da allora noi abbiamo messo a riposo il mito che le aziende hanno qualcosa da nascondere” – ha continuato.

In questo studio, un gruppo di ricercatori ha iniziato con l’identificare tutti gli studi sugli antidepressivi presentati alla FDA per ottenere l’approvazione dell’agenzia dal 1987 al 2004. Negli studi sono stati coinvolti 12.564 pazienti adulti con lo scopo di valutare l’efficacia di farmaci come il Prozac della Eli Lilly, lo Zoloft della Pfizer e l’Effexor della Wyeth.

Per i farmaci approvati più recentemente, i ricercatori ottenevano i dati mai pubblicati dal sito della F.D.A. Per quelli più vecchi, essi sono andati a scovare copie cartacee di studi mai pubblicati tramite colleghi o usando il Freedom of Information Act. Hanno inoltre scritto alle case farmaceutiche che hanno condotto gli studi per chiedere se eventualmente fossero stati pubblicati.

Gli autori hanno trovato che 37 dei 38 studi che l’FDA ha potuto vedere e che avevano risultati positivi erano pubblicati su riviste scientifiche. L’agenzia ha potuto analizzare 36 altri studi con risultati fallimentari o non convincenti, dei quali solo 14 erano stati pubblicati.

Ben 11 di questi 14 articoli “davano l’idea di un risultato positivo” che non trovava però alcuna giustificazione dopo un’approfondita revisione dell’FDA, dice il primo autore dello studio, il Dr. Erick H. Turner, psichiatra ed ex recensore per l’FDA, attualmente impiegato alla Oregon Health and Sciences University e al Portland Veterans Affairs Medical Center. I suoi co-autori sono ricercatori della Kent State University e della University of California, Riverside.

Il Dr. Turner afferma che il riportare, dopo averli selezionati, solo gli studi favorevoli provoca delusione nei pazienti. “Il fatto è che, io penso, le persone che desiderano prendere un antidepressivo dovrebbero essere più guardinghe nell’assumerlo, e non rimanere colpite se non funziona o credere che sia un farmaco sbagliato per loro”.

Per i medici, ha aggiunto “Ora possono smettere di chiederci ‘com’è che questi farmaci sembrano funzionare così bene in tutti gli studi e io non ottengo la stessa risposta?’”.
Il Dr. Thomas P. Laughren, direttore della divisione dei prodotti psichiatrici alla FDA, afferma che l’agenzia si è da molto tempo resa conto che gli studi con risultati favorevoli sono quelli pubblicati con maggiore probabilità nei giornali scientifici. “E’ un problema con cui stiamo combattendo da anni” ha dichiarato in un’intervista. “Non ho alcun problema ad accedere pienamente a tutti gli studi clinici; la questione per noi è come fare a mettere tutto dentro un foglietto illustrativo del farmaco”.

Il Dr. Donald F. Klein, professore emerito di psichiatria alla Columbia, ritiene che i produttori di farmaci non siano i soli ad essere riluttanti a pubblicare risultati non convincenti. Le riviste scientifiche, e anche gli stessi autori, possono lasciar cadere studi che sono deludenti. “Se quelli sono dati che hai conservato privatamente, e non ti piacciono i risultati che ne vengono fuori, insomma, non dovrebbe sorprendere che alcuni medici non presentino questi studi”.
http://content.nejm.org/cgi/content/short/358/3/252

e ancora:
dubbi sull’ipotesi della serotonina e sulla validità della terapia con un farmaco SSRI
Negli Stati Uniti, gli antidepressivi SSRI ( inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina ) sono pubblicizzati direttamente ai consumatori.
In queste campagne di advertising dirette al pubblico gli antidepressivi SSRI sono presentati come farmaci in grado di correggere uno squilibrio clinico causato da mancanza di serotonina.
Le campagne pubblicitarie sono state particolarmente intense a tal punto da gonfiare le vendite di questi farmaci.

Zoloft ( Sertralina ), ad esempio, nel 2004 è diventato il sesto farmaco più venduto ed ha generato un fatturato superiore ai 3 miliardi di dollari.
Gli Autori si sono chiesti se le affermazioni fatte nell’advertising degli antidepressivi SSRI fosse congruente con l’evidenza scientifica.

L’ipotesi serotonina

Nel 1965, Joseph Schildkraut aveva ipotizzato che la depressione fosse associata a bassi livelli di norepinefrina. Successivamente altri ricercatori hanno teorizzato che la serotonina fosse il neurotrasmettitore coinvolto.
Negli anni successivi si è tentato di dimostrare la connessione tra serotonina e depressione, ma senza riuscirci.
Venendo a mancare la prova della deficienza della serotonina nei disturbi mentali, si è sostenuto che l’efficacia dichiarata degli antidepressivi SSRI fosse a sostegno dell’ipotesi della serotonina.

Questo ragionamento è tuttavia debole, secondo gli Autori.
Come se l’efficacia dell’Aspirina in alcune forme di cefalea potesse tradursi nell’affermazione che questi pazienti avessero bassi livelli di acido acetilsalicilico nel cervello. Dubbi sull’ipotesi della serotonina vengono anche dalle analisi degli studi clinici che hanno valutato i farmaci SSRI.
Il 57% degli studi clinici presentati all’FDA ( Food and Drug Administration ), sponsorizzati dall’industria farmaceutica, ha fallito nel mostrare una differenza statisticamente significativa tra antidepressivi e placebo.
La modesta efficacia dei farmaci SSRI, a differenza di quanto osservato nel diabete con la deficienza di insulina, non appare confermare l’ipotesi della serotonina.

Inoltre, una revisione Cochrane non ha riscontrato particolari differenze tra farmaci SSRI e gli antidepressivi triciclici. Studi clinici randomizzati hanno mostrato che il Bupropione e la Reboxetina sono efficaci quanto gli SSRI nel trattamento della depressione.
Uno studio clinico ha dimostrato che nei pazienti anziani l’esercizio fisico è efficace quanto la Sertralina, un SSRI.

Sebbene gli SSRI siano considerati farmaci antidepressivi, il loro impiego è stato approvato anche in altri disturbi psichiatrici, dal disturbo d’ansia sociale al disturbo ossessivo-compulsivo e a quello disforico premestruale.

I produttori di due farmaci SSRI, Zoloft e Paxil ( Paroxetina ) hanno promosso l’ipotesi della serotonina, non solo nella depressione ma anche in altre patologie psichiatriche.
E’ molto improbabile che le alterazioni dei livelli di serotonina riescano a spiegare manifestazioni comportamentali così differenti.
Lacasse JR, Leo J, PLoS Med 2006; 2: e392
più chiari di così!!

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