DSA Disturbi dello Spettro Autistico: evoluzione di un concetto

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Credo che questo sopra linkato sia l'articolo che definì il famigerato 'Spettro Autistico', dal 1994 con successivi aggiornamenti.

Chi si occupava dell'autismo fin dagli anni 1960 riconosceva l'insufficienza e spesso l'incongruenza della parola 'autismo' in molti dei casi che venivano così diagnosticati, a partire dai primi lavori di Kanner degli anni 1940 (che aveva preso il termine dall' autismo degli schizofrenici ricoverati in manicomio). Era sempre più evidente che con questo termine si indicavano bambini spesso molto diversi fra loro, anche se ugualmente handicappati da gravi difficoltà di comunicazione, contatto sociale e comportamento. Tentativi di differenziare le diverse situazioni erano stati fatti più volte, da chi si occupava in quel tempo dei bambini autistici, (in Italia prevalentemente psicoterapeuti e psicoanalisti, in America e Inghilterra anche psichiatri e psicologi comportamentisti). Si parlava così di autismo vero e proprio, stati autistici, simbiosi, autismo confusionale, ecc e di 'tratti autistici' per i bambini che presentavano difficoltà di sviluppo con sintomi simil-autistici. La confusione e la difficoltà di intendersi anche fra addetti ai lavori era abbastanza grande.
Il cambiamento della psichiatria indotto dal gruppo che Nel 1980 la pubblicazione del DSM 3 in America avviò un cambiamento della Psichiatria che dilagò in tutto il mondo, insieme a un nuovi psicofarmaci il cui uso aumentò in modo esponenziale e insieme a una fede incrollabile nella causa genetica di tutti i disturbi mentali. Ciò portò gli psichiatri a uscire dagli ospedali psichiatrici e ad occuparsi di difficoltà di cui prima non si occupavano, quali le nevrosi, i disturbi di personalità e nei bambini l'autismo. La ricerca sull'autismo uscì dalla nicchia di pochi esperti che se ne occupavano e aumentò notevolmente, importando i metodi considerati 'scientifici' dai propugnatori dell'ondata della EBM, la Medicina Basata sull'Evidenza, cioè sulle prove dei calcoli statistici applicati ai dati raccolti, che si stava diffondendo nel mondo medico.
Per dirla in breve i casi vennero raccolti in gruppi al cui interno venivano differenziate delle categorie differenti. Ma all'inizio il nome passò in secondo piano: l'autismo era solo una delle categorie dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, che ne comprendeva alcune altre più o meno ben distinte. Il cambiamento all'iniziò fu ben accolto da quasi tutti. Avevamo a disposizione una terminologia per indicare casi simili all'autismo ma diversi su molti aspetti, fra cui quello prognostico. Più che le cingole categorie, molti usavano il termine comprensivo, DPS, per indicare, nella maggioranza dei casi, dei bambini che necessitavano di attenzione e a volte intervento per difficoltà marcata di sviluppo. L'autismo conclamato era una cosa, i DPS un'altra; la parola era meno drammatica e intesa in qualche modo come una disgnosi di attesa, aspecifica. A un certo punto, non saprei dire quando e perchè, verso la fine degli anni '80, enyrò progressivamente in uso esprimersi in termini di 'Spettro', prendendo a prestito i concetto dalla fisica ottica, dal fenomeno ben noto per cui un raggio di luce che attraversa un prisma di vetro viene suddiviso in tante linee colorate come quelle dell'arcobaleno. Si pensava che i vari tipi di autismo come quelli sopra accennati, potevano essere elementi di una stessa entità, anche se separati da qualcosa ancora non conosciuta. Il termine per un po' continuò d 4essere usatoin modo innocuo come sinonimo di DPS ma forse questo creò confusione e fece sì che anche le difficoltà di sviluppo non autistiche comprese nel gruppo dei DPS fu a un certo punto cooptato insieme alle forme più conosciute di autismo in un unico calderone, lo Spettro autistico, in cui tutte le forme erano comunque comprese sotto il termine autismo. Il DSM 5 ufficializzò questa cosa stabilendolo per così dire per Legge.
Credo che la situazione determinatasi in questo modo sia molto peggiore della confusione che si lamentava all'inizio, nell'uso della parola autismo. In articolare per famiglie e operatori scolastici e sanitari l'effetto è stato traumatico: l'alone di gravità e di incurabilità o quasi che circondava il termine autismo si è esteso alla quasi maggioranza delle difficoltà evolutive dei bambini, proprio come se ad ogni colpo di tosse si dovesse sospettare la tubercolosi o peggio, oggi, l'Ebola.
Si è cancellato con un colpo di spugna la necessità di distinguere fra quadri diversi, e addirittura fra variazioni della normalità e una patologia gravissima. La diagnosi differenziale è stata gettata in un cassetto e ora al massimo s9 distingue fra tre gradi di gravità, grave, medio, lieve...
Si assiste quindi oggi all'attribuzione dell'etichetta 'autistico' a bambini diversissimi fra loro, gettati tutti insieme nel calderone degli interventi terapeutici che sono dilagati a macchia d'olio negli ultimi anni, applicati a tutto e al contrario di tutto, per evitare terminologie più salaci.
Più che mai oggi è importante cercare di opporsi a questa deriva ammantata da un alone pseudoscientifico, e distinguere almeno fra tre grandi gruppi di bambini che ricevono questa diagnosi:
quelli che realmente mostrano segni evidente di grave patologia autistica - e necessitano di un intenso intervento come indicato altrove;
quelli che mostrano difficoltà di sviluppo di vario tipo e necessitano che siano individuate difficoltà e ostacoli per intervenire opportunmente;
quelli che presentano solo ritardi e variazioni dello sviluppo normale e devono essere protetti -loro e i familiari - dai danni iatrogeni che potrebbero subire da interventi inutili, anche se probabilmente sarebbere poi fra quelli che 'escono dalla diagnosi', guarda caso.
Diagnosi sbagliate producono interventi sbagliati e danni iatrogeni anche gravi.
Quanto poi può essere minata la ricerca su cause e terapie dell'autismo da una così grave confusione a livello diagnostico ognuno può capirlo facilmente e così pure quanto i risultati delle ricerche possano spesso essere inficiati alla base da ogni credibilità.

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