Ancora riflessioni critiche sull'autismo

(promemoria:
Un articolo di riflessione critica, di Hanau e al., sulle difficoltà concettuali nel campo dell'autismo : mi sembra che esprima bene la crescente confusione che c'è, quasi lo smarrimento di fronte alla perdita di punti di riferimento e il tentativo di trovare qualcosa cui aggrapparsi, auspicando, nelle ultime parole, "avanzamenti della scienza")

Critica al concetto di autismo, nuove riflessioni

Definizione.
Viene inteso con il concetto di autismo, o sindrome autistica, una condizione, o un gruppo di condizioni (spettro autistico) con determinate caratteristiche cliniche che, pur se combinate fra loro in maniera variabile e in gradi variabili che portano a situazioni di disabilità molto variabile , vengono accomunate come se avessero una stessa etio-patogenesi e una stessa costellazione di cause.
I clinici sono divisi a proposito delle teorie causali e di conseguenza sulle terapie, una parte di gran lunga preponderante oggi segue la teoria del cosiddetto ‘disturbo del neurosviluppo’ da cause genetiche e con ipotetici meccanismi cerebrali, alterati a qualche livello, come patogenesi, mentre una parte, oggi minoritaria ma prevalente alcuni decenni fa, segue la teoria del disturbo psico relazionale con l’ambiente che provocherebbe un arresto o una deviazione dello sviluppo psichico. I primi propendono per interventi assistenziali educativi riabilitativi basati sull’acquisizione di abilità, i secondi per interventi psicologici basati sulla comprensione e il contatto emotivo. Quasi tutti i clinici, comunque, condividono l’assunto di base dell’esistenza di questa condizione, sindrome, o gruppo di condizioni, che viene considerata la ragione delle manifestazioni cliniche, e pertanto viene identificata come tale nella diagnosi. Per cui entrambi i gruppi di clinici fanno diagnosi di autismo o spettro autistico come causa dei disturbi manifestati. Ma, come abbiamo cercato di evidenziare, senza prove sicure dell'esistenza di tutto ciò.
Parlare, invece che di soggetti autistici, o con autismo, di soggetti con ‘comportamento autistico’ o con ‘sintomi di autismo’, o ‘disturbi della sfera autistica’, o di ‘sindrome autistica’ , tende comunque a privilegiare la categoria di autismo come caratteristica di base di tutti i soggetti indicati con queste espressioni. E quindi non si discosta dall’andamento generale, in realtà, e rischia di contribuire a mantenerlo.
In realtà la critica fondamentale al concetto di autismo è che seguendo questo concetto si mettono insieme situazioni estremamente diverse fra loro, accomunandole in una ‘sfera autistica’, o in uno ‘spettro autistico’, che rappresenterebbe il minimo comun denominatore, si potrebbe dire, cioè la caratteristica principale, l’elemento preponderante delle talora diversissime situazioni comprese nella categoria. Ma senza alcuna reale prova di ciò, con effetto che sta diventando sempre più di confusione.
Per fare un esempio dell'assurdità logica del concetto di autismo, è come se si volesse definire l’immobilità come caratteristica di base di una sindrome, e ci si facessero rientrare casi di paralisi da cause neurologiche diverse, di rifiuto di muoversi, di assenza di veglia o coscienza, di dubbio e incertezza, di ordini esterni, minacce, ecc.. Questi casi diversissimi potrebbero essere accomunati così in una unica condizione di mancanza di movimento, chiamata ‘sindrome di immobilismo’, o ‘spettro di immobilismo’, e così via. Ovviamente qualsiasi persona che veda un soggetto immobile tenderà a fare una valutazione automatica immediata globale della persona in causa e non della sua immobilità in sè. Non si cercano tracce di una sindrome di immobilismo, o di uno spettro di immobilismo, ma si guardano altri ‘segni e sintomi’ di aspetti più importanti dell’immobilità stessa. Lo stato di coscienza, le eventuali risposte alle domande, le reazioni a determinati stimoli portano a differenziare, nell’immobilismo, le condizioni più diverse: stato di morte, di coma, di svenimento, di paura, di rifiuto, la presenza di malattie del sistema nervoso o altre condizioni, ad esempio di dolore ai movimenti, ecc. Nessuno vedrebbe un unico denominatore comune sotto queste diverse manifestazioni, se non il fatto di trattarsi di un essere umano, o addirittura di un essere vivente. Quindi il concetto di immobilità, e la diagnosi di immobilismo, non sono considerati utili a definire le situazioni di mancato movimento, che si affrontano invece con strumenti concettuali diversi.
Analoga mi sembra essere la situazione per quanto riguarda il concetto di autismo. Si rischia di trovarsi di fronte a un'ircocervo inesistente nella realtà ma cui si dedicano tutte le energie per conoscerlo gestirlo ecc. Questo a mio avviso è l’errore logico di fondo.
Inoltre la caratteristica basilare stessa di autismo – prima centrato sull’autòs, appunto, la chiusura in se stessi, l’isolamento dal mondo esterno – che prima costituiva la base comune, il minimo comun denominatore, è stata spostata sulla presenza di una lista di caratteristiche, sintomi e segni, nessuno di questi ‘patognomonico’, cioè essenziale per la diagnosi, che invece dipende dal raggiungimento di un punteggio soglia, dalla somma dei vari ‘dati’ considerati.
E’ quindi a livello di definizione che la categoria di autismo o spettro autistico presenta la sua pecca maggiore. La definizione non è nemmeno più basata su un dato fenomenologico eclatante -come sopra l’immobilità, o qui la chiusura in se stessi - a imporsi, ma su un costrutto che appare più burocratico che clinico, in realtà. L’estrema conseguenza dell’aver creato una categoria diagnostica basata su una somma di caratteristiche diverse è che oggi possono rientrare nella categoria dello spettro autistico anche persone che non hanno disabilità effettive, ma solo vissuti soggettivi di ‘diversità’ o comportamenti un tempo considerati non patologici, anche se talora atipici e bizzarri.
L’idea di una ‘entità’ chiamata autismo sottostante a tutte le più diverse manifestazioni di difficoltà e alterazione dello sviluppo e del comportamento appare priva di logica oltre che di una base scientifica, visto che non vi è alcun dato biologico a conferma.
In medicina ovviamente siamo abituati a che manifestazioni le più diverse, ad esempio della pelle, del cervello, con sintomi sia neurologici che comportamentali, oppure a carico di polmoni, reni, intestino, membrane meningee, ecc abbiano alla base certi microorganismi, come una spirocheta o il bacillo di Koch che danno i sintomi più diversi a seconda degli organi via via interessati. Ma nell’autismo manca qualsiasi reperto biologico a conferma dell’ipotesi di una causa comune, o anche di una etio-patogenesi comune da possibili cause diverse. La ricerca di una specie di virus dell’autismo anche in persone con pochi sintomi, sotto soglia o asintomatici è quanto mai attiva e ricorda l’epoca della paura dei marziani o degli alieni.
La situazione è un po’ come quando le persone con disturbi mentali venivano rinchiusi nei manicomi, e i criteri di ‘raccolta’ erano basati solo su dati comportamentali e più o meno su necessità sociali ricorrenti. Ovviamente nei manicomi si potevano trovare le situazioni più diverse, e si è rinunciato a un certo punto sia a trovare una causa comune che richiedesse una terapia identica ( appunto la chiusura in manicomio) sia infine ai manicomi stessi, la cui origine non era scientifica ma era un’esigenza di controllo sociale.
Il concetto di autismo è quindi il moderno manicomio in cui si richiudono i bambini che hanno certe caratteristiche, diverse dalla ‘norma’ ( concetto sociale-statistico) e talora disturbanti ( concetto legale - sociale).
E' necessario ‘liberarli’ per poter cercare di capire poi le motivazioni e le cause che producono alterazioni e difficoltà, dello sviluppo e del comportamento. Finchè la risposta sarà di rinchiudere questi bambini ‘diversi’ nel manicomio-autismo, non si potrà affrontare scientificamente i problemi che pongono e tanto meno intervenire in maniera ‘scientificamente dimostrata’.
Si è diffusa recentemente l’abitudine di contrapporre agli ‘autistici’ i cosiddetti ‘neurotipici’. Tanto varrebbe allora abolire l’espressione ‘autistico’ e sostituirla con ‘neurodiverso’, come in effetti da qualche parte stanno proponendo. Anche se non vedo perché ci voglia il suffisso ‘neuro’, visto che di ‘neurologico’ non c’è proprio nulla, in questi 'tipi psicologici', come cent'anni fa si chiamavano. Quando c’è, cambia il nome, e si parla allora di epilessia, sclerosi tuberosa, sindrome di Rett, ecc, come malattia causante i disturbi presentati. Quindi si può parlare solo di ‘tipici’ e ‘atipici’, al massimo, per i bambini che hanno uno sviluppo e un comportamento considerato nei limiti della norma o fuori di tali limiti, in base a tabelle più o meno burocratiche. Un volta al tempo dei 'tipi', si parlava di 'introversi' ed 'estroversi'.
La prima cosa da fare sembrerebbe dunque eliminare, o almeno sospendere per una moratoria di ripensamento, il concetto e la diagnosi di autismo e spettro autistico, come una falsa credenza che copre e impedisce di guardare alla realtà effettiva, deformando il nostro modo di pensare, oltre che l’approccio ai bambini e al loro sviluppo. Si uscirebbe dalla confusione crescente e, passata la nuvola di polvere, forse si intravedrebbero meglio gli oggetti in questione.
La prima cosa da fare è demolire, smantellare il concetto di autismo, non usarlo più, perchè è un concetto falso e sbagliato.

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