borderline, schizofrenica, bipolare...

Una ragazza giustamente si lamenta che "non ci capisce più niente", col cambiare della diagnosi psichiatriche, delle terapie, ecc

Rispondo

C'è spesso il rischio di perdersi dietro la 'diagnosi giusta', la medicina 'giusta', il dosaggio 'terapeutico', la lista dei sintomi e degli effetti collaterali: il rapporto medico paziente in psichiatria sembra a volto esser diventato solo la compilazione di scale e liste di sintomi e la trasformazione automatica di questi in diagnosi e prescrizioni farmacologiche. Le vicende personali dei pazienti per definizione sembrano non interessare più questi psichiatri
Le vicende che la paziente descrive sembra a buona ragione che possano essere ben definite 'traumatiche', (la psichiatria riconosce la possibilità di 'sindromi post-traumatiche, acute e croniche', cui ovviamente persone diverse in situazioni e momenti diversi reagiscono diversamente per tanti motivi, conosciuti e sconosciuti) anche se ovviamente il filtro dei ricordi può averle modificate in parte: sicuramente però il vissuto sembra essere stato e/o essere ancora terribile. E' frequente nelle persone che hanno subito un abuso sessuale, o una minaccia d'abuso, di mantenere un atteggiamento negativo e timoroso verso la sessualità, come effetto duraturo del trauma subito che può minare la loro personalità, se non sufficientemente elaborato. Altri 'traumi' familiari e vicende personali possono ugualmente condizionare gli atteggiamenti, le aspettative su sè e sugli altri, e rendere difficile l'adattamento ai contesti sociali. Le condotte provocatorie sono spesso -come dice il nome stesso: provocatorie - il tentativo di 'provocare' comunque un interesse, una reazione. I fallimenti e le conseguenze negative possono indurre la ricerca dell'isolamento, cosa che, un po' alla volta, diventa un circolo vizioso ostacolando ancor più i contatti sociali e favorendo altre difficoltà.

Se questa descrizione non è completamente sbagliata, si può immaginare uno stato mentale come di sentirsi perduta in un labirinto di cui non si trova la via d'uscita, fino a scatenare a volte atti inconsulti, come per rompere gli specchi del labirinto, fra cui magari ci sono le diagnosi psichiatriche. Può darsi che un senso di superiorità, intellettuale, o di carattere, possa coprire d'orgoglio il fatto di essere rinchiusi come in una prigione, e non desiderare di uscirne, quasi come le catene fossero d'oro. Ma sempre di catene si tratta: può essere utile aprire gli occhi e cercare di trovare la strada nella realtà. Non è mai troppo tardi, come si diceva una volta.
Mi associo all'indicazione della psicoterapia come intervento per tentare di trovare la via d'uscita dal labirinto. Ci vuole ovviamente uno /a psicoterapeuta disposta a fare questa strada, di entrare nel labirinto per poi aiutare la paziente a uscirne, magari con un filo d'Arianna che renda il compito possibile.
Cordialmente

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