Spunti sul linguaggio e problemi relativi

Interessanti articoli sul Domenicale del Sole di oggi 14/11 sul linguaggio, uno sulla possibile influenza fra Gramsci e Wittgenstein attraverso Sraffa, - sugli aspetti pragmatici delle grammatiche linguistiche, in cui la grammatica singola per effetto del contesto ambientale si adatta alla grammatica ambientale, cioè alla pragmatica della comunicazione (questo stimola pensieri su alcune difficoltà di sviluppo del linguaggio nei bambini con problemi di linguaggio, magari vs bambini con mutismo elettivo)- ; l'altro di uno scrittore americano che si interroga sui possibili effetti negativi della 'parola', cioè del linguaggio, e si domanda se invece che essere la soluzione non faccia magari parte del problema (delle difficoltà del vivere, capisco). Parafrasando Bion si potrebbe dire che le bugie hanno bisogno di parole, mentre la verità non ne ha bisogno, e con un pensiero a Platone dire che le parole, come rappresentazione simbolica della realtà, la traducono e inevitabilmente la tradiscono. Il mito di Babele, ovviamente, rappresenta tutto ciò in modo emblematico.
Gli attuali studi sul linguaggio sembrano in gran parte bloccati in circuiti viziosi -con uscite tangenziali nella scoperta di cromosomi del linguaggio e relative anomalie genetiche - e tanto più gli interventi, affidati alle tecniche meccaniche delle logopediste (che si occupano anche di riabilitazione di adulti post ictus o laringectomizzati).
L'osservazione clinica costantemente rimanda ai rapporti fra il bambino con difficoltà di linguaggio (sia per mancato o ostacolato sviluppo nell'autismo, e nelle disfasie, meno nelle dislalie evolutive e nelle disatrie lesionali) e il suo ambiente, sia come tessitura linguistica che come pragmatica organizzativa, comunicativa e relazionale dell'ambiente. L'intervento clinico facilitante (e non correttivo) tende a togliere gli ostacoli sia linguistici, che pragmatici relazionali, riducendo gli aspetti formali e distinguendoli chiaramente da quelli sostanziali. Esempio: le comunicazioni verbali devono essere 'vere', avere un contenuto informativo sostanziale, e non essere test limguistici o stimoli alla ripetizione di parole, e le regole e i messaggi di proibizione (i 'no') devono essere sostanziali, importanti, coerenti e non formali. La comunicazione deve cioè essere vera, riguardare il contenuto, e non 'finta', strumentale': ovverossia il contenuto della comunicazione non dev'essere cpperto dal significato non verbale.
C'è sottesa l'idea che un uso prevalentemente formale, esteriore e magari ambiguo possa disturbare l'acquisizione della grammatica comune e del linguaggio come veicolo per le comunicazioni e e non trappola di messaggi contradditori. Specie laddove alle apparenze linguistiche corrispondono atteggiamenti comportamentali incoerenti o ambigui.

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