Conferenza di Franco Conrotto al Palagio di Parte Guelfa

Fortunati i Fiorentini che assistendo a conferenza varie, in questo caso di psicoanalisi nel ciclo di 'lezioni' al Fuligno, si possono godere anche gli ambienti che li ospitano, in questo caso la Sala Brunelleschi del mediovale palazzo di Parte Guelfa nel very center della città.
Tono molto più serio, questa volta senza nessuna concessione alla brillantezza o alla seduttività e al godimento estetico. Però un po' non guasterebbe, come assistere a una conferenza sulla musica classica e limitarsi a sentire parlare della struttura delle composizioni e delle tecniche musicali. Probabile che possibili interessati vengano convinti a tornare subito al rock o ad altro genere. Qualche esempio musicale è necessario, come velle vecchie lezioni di Roman Vlad.
Un'altra metafora che mi veniva in mente era quella della lezione di anatomia al tavolo di dissezione, ma non tanto su un corpo vero, almeno - superando il ribrezzo e i mancamenti iniziali (ricordo della prima autopsia cui assistetti in quelò di Padova, da matricola in medicina, nel lontano 1967, quasi una verifica obbligata della strada che si cominciava) - quanto su un manichino, costruito in base alle conoscenze o meglio ai modelli ipotetici del corpo umano, o della sua mente. Come Leonardo che pensava e disegnava i suoi modelli un po' in base ai reperti che più o meno segretamente dissezionava, un po' alle sue credenze (ad esempio che dei canali collegassero utero e mammelle... c'erano sì dei collegamenti, che poi si scopri ormonali, lui li aveva ipotizzati anatomici).
Insomma la prima parte della conferenza temo avrebbe dissuaso dall'interessarsi di psicoanalisi chiunque non fosse già un aficionado.
Una folata di aria fresca è entrata quando il conferenziere, psicoanalista didatta della SPI "attivo ormai da vari decenni", nella seconda parte, riprendendo un lungo e lento e veramente insopportabile commento della presentatrice (acusticamente ed esteticamente: anche una buona musica deve rispettare toni e tempi...), ha preso spunto da fatti attuali, del mondo in cui viviamo, per dare un senso ad aspetti che altrimenti sembrano non averlo. Così la diffusa perversione che sembra dominare la vita odierna, specialmente i suoi aspetti economici e politico/mondani, dove al posto di regole e valori, come si dice, domina non solo la trasgressione, ma l'idealizzazione della trasgressione stessa: come Riccardo III di Shakespeare, oggi i potenti proclamano "il brutto è bello, e il falso è vero", a scapito di tutti gli altri, che non hanno più alcun valore di soggetti nella relazione, ma solo oggetti da spogliare, sia fisicamente che economicamente.
Così anche oggi fa capolino la politica nostrana ed anche la crisi economico-finanziaria attuale provocata dalla perversione che porta a mettere l'avidità come valore dominante. La conseguenza è nel suicidio del figlio del banchiere Madoff (che fece saltare il tappo della bolla criminal-finanziaria, avviando il disastro), oltre a tutto il resto. Chissà se il Potere e il Capitalismo sono in sè perversi, espressione di quella che qualcuno usa ancora chiamare 'pulsione di morte', mentre altri, come Meltzer, la vedevano come espressione della falsificazione della verità (che con Keats è Bellezza), nel 'gioco' vero-falso che è indissolubilmente legato al linguaggio, babelico dono non richiesto all'umanità e fonte dei suoi mali - o se quella che vediamo ne è solo la perversione...
Beh, qui Conrotto ci ha dato un po' di ossigeno, dopo l'apnea della dissezione del manichino psicoanalitico della struttura teorica della mente. Sarà un po' di sadismo, il suo, visto che 'programmaticamente lui non scrive di clinica' ?...
Superata la prova di resistenza dell'ascolto della non-musica, il pubblico, che oggi era in gran parte di addetti ai lavori e pochissimi studenti o giovani (pericolo: come proporre la formazione psicoanalitica 'seria' con questi tour de force?) ha portato la musica della clinica, delle esperienze dirette con i pazienti e di nuovo si poteva respirare meglio. Lo stesso Conrotto si muoveva qui più agilmente e garbatamente, invogliando l'ascolto.

Forse per la mia esperienza sempre più con famiglie e con le istituzioni in cui ci troviamo a vivere, e in cui i bambini sono buttati fin da tenera età, mi ritrovavo stupito che la psicoanalisi tradizionale freudiana rinunci ad utilizzare il suo strumento allargando il campo di osservazione, dal manichino psicoanalitico all'individuo / nella famiglia / nella società, (nell'espressione del binomio pionieristico Meltzer Harris, ma anche di altri psicoanalisti della famiglia) di cui anche l'analista fa parte, in cui il gioco fra struttura (psichica) e cultura (ambiente) inevitabilmente viene a galla, senza perdersi nei giochi linguistici se è nato prima l'uovo o la gallina.
Se molti psicoanalisti si sono dedicati alla famiglia e ai gruppi, allargando l'ottica individuale (lo stesso Bion parte dai gruppi, come sappiamo, e forse per questo ha un'evoluzione così anomala nel mondo psicoanalitico: è arrivato poi agli individui giocoforza anche per l'età e il contesto, ma mantenendo un'ottica gruppale, superata l'ubriacatura kleiniana), la psicoanalisi classica freudiana, anche se recettiva oggi degli apporti kleiniani e bioniani, sembra restare tenacemente attaccata a formulazioni teoriche strutturali che rischiano a mio avviso di portare un'aria di sala anatomica che credo non giovi molto. E non credo che nel Gradus ad Parnassum della formazione la presenza di tormenti e sofferenze sia di per sè segno che la direzione è giusta.
(2011)

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