Bimbo placido con scatti di ira

Ricevo: Gentile Dottore,
ho 37 anni e da dicembre 2010 ho posto fine alla convienza con il padre di mio figlio che ha compiuto due anni il 31 marzo scorso.

Il bambino ha sempre mostrato un’indole tranquilla, riflessiva e trattabile. E’ ubbidiente (anche troppo), sempre sorridente e abbastanza socievole.

La separazione è stata e continua ad essere traumatica a motivo del carattere aggressivo e iracondo del padre, un uomo pieno di complessi di inferiorità, estraneo ad ogni forma di dialogo, incapace di qualsiasi (auto)riflessione, incline a scatti d’ira e a repentini allontanamenti/annullamenti.

Da qualche tempo il bambino, che vive in casa con me ed è curato durante le mie ore di assenza per lavoro dal nonno (mio padre), uomo di indole assai placida, mostra a sua volta frequenti scatti di ira, scaglia con forza oggetti lontano da sé, piange e urla per non farsi cambiare il pannolino (in estate proverò a toglierlo), oppone ripetuti NO a qualunque proposta gli si faccia.

Poiché si tratta del mio primo ed unico figlio, vorrei sapere quanto è imputabile a un normale processo di crescita e di verifica dei “confini” oltre i quali non può spingersi e quanto invece al fatto di non essere riuscita per i suoi primi due anni di vita a difenderlo seriamente dal carattere irascibile del padre.

Vorrei anche sapere come devo comportarmi di fronte a tali manifestazioni del bambino e come rappresentargli, in sua assenza (siamo in attesa della sentenza del Tribunale dei Minori), la figura del padre: evocarlo marginalmente o tacerlo del tutto?

Ringrazio per l’attenzione e per la risposta. Autorizzo la pubblicazione della presente e-mail.

X Y da Z

Gentile signora. purtroppo la

Gentile signora.
purtroppo la sua situazione non è rara: le coppie coniugali oggi sono piuttosto fragili e se ci sono bambini la separeazione e la riorganizzazione della vita costituiscono sicuramente se non traumi, comunque momenti difficili che si trascinano nel tempo.
Lei pone una specie di dilemma: o ... o.... Di solito non è così. Di solito è qualcos'altro, che progressivamente sono venuto a vedere come l'organizzazione che i genitori riescono a dare alla famiglia, unita o separata che sia, in modo che le indispensabili 'funzioni' genitoriali possano esplicarsi. Come su una barca: è necessario che questa abbia una certa stabilità perchè i lavori a bordo vengano eseguiti: quando c'è un'emergenza, una tenpesta, o bisogna abbandonare la nave, magari per prendere posto su due barche (come quando la famiglia si divide...), gli altrri lavori passano in secondso piano finchè non viene raggiunta una nuova stabilità.
E' probabile che la vostra situazione organizzativa, gli accordi di separazoione, ecc, non siano ancora sufficientemente stabilizzati, e probabilmente il bimbo esprime con il suo comportamento il panico di non aver più la 'barca' che conosceva e di non sentirsi ancora sicuro nelle barche nuove. Come nei passaggeri dell'esempio suddetto. Forse una, quella paterna, è ancora di là da venire.
Il mio consiglio quindi è di stabilizzare la barca, possibilmente tutt'e due le barche, e nel freattempo tenere il bimbo sotto un controllo di emergenza. Ovviamente la barca paterna non è compito suo attrezzarla, ma almeno - è il mio consiglio - cerchi di non affondarla o non ostacolarla, perchè il bambino, necessariamente, avrà bisogno anche di quella. Se si riesce a ripartire con due barche abbastanza stabili , e consixioni per cui il bambino può passare da una all'altra senza rischi di cadere in mare, sarà meglio per tutti.
A volte può essere utile una mediazione familiare, da parte di un professionista esperto.
Cordialmente e in bocca al lupo.
dr GBenedetti

dr GBenedetti

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