Vocazione religiosa o sindrome ossessiva?

Questa difficile questione viene posta da una ragazza di 26 anni che dice di essere in psicoterapia e anche in trattamento psichiatrico da alcuni anni per un cosiddetto Disturbo Ossessivo Compulsivo. Il tema che tormenta l'interessata è in realtà il dubbio, o meglio la paura di avere la vocazione, ma anche il terrore di essa. Si domanda come possa avere paura di qualcosa che si potrebbe desiderare.
Il dubbio la paralizza, tutti cercano di dissuaderla, compresi "frati e preti", lei non sa come uscirne fuori.
Fra i precedenti c'è un tentativo di abuso subito in adolescenza e esperienze di abusi fisici in famiglia, per eccesso di mezzi di correzione. Secondo la paziente l'ipotesi fatta in psicoterapia è che il suo disturbo abbia il significato di un rifiuto della sessualità.
Non riesce a fare attività piacevoli o sentirsi felice senza sentirsi in colpa... Riferisce che il disturbo è 'scoppiato' dopo un incontro con dei religiosi insieme ad alcuni amici, che la ha entusiasmata.
Riferisce di essere credente, di aver fatto spesso volontariato e di aver avuto diverse relazioni finite male, per cui ha pensato che quella poteva essere la sua strada. Ma la cosa le fa paura e la fa stare male, ha cominciato ad avete insonnia ed attacchi di ansia, poi è sopraggiunta la depressione. Il dubbio è lancinante: ha paura che se non accetterà la chiamata non sarà mai felice o che forse sta male perché non vuole ammettere a se stessa che vorrebbe fare la suora.

Di primo acchito la

Di primo acchito la situazione sembra insolubile, come molte situazioni che riguardano scelte di vita esclusive: non vorrei sembrare sacrilego accostando le vocazioni religiose alle scelte di orientamento sessuale e addirittura a scelte ideologico/politiche estreme, come magari quella del terrorismo suicida dei kamikaze. Certo, hanno un livello decrescente di accettazione sociale. Ma lo stesso vale per chi cambia religione, fino a poco tempo fa valeva per chi sposava una persona fuori dal suo ambiente, se poi era di una razza diversa...

Non ho esperienza diretta ma immagino che alla vocazione segua un periodo di incertezza e dubbi e malessere e forse vera e propria sofferenza psichica, fino che la scelta è presa, in un senso o nell'altro, e forse anche dopo...

Viste dall'esterno, nel momento del dubbio le manifestazioni possono ricordare situazioni psicopatologiche, le motivazioni e le convinzioni non sono condivise dall'ambiente circostante (per cui in psichiatria si chiamerebbero deliranti), lo stato d'animo, depresso o fisso su pensieri ripetitivi, sembra quello dell'ossessività.
Sono stupito che 'preti e frati' abbiano contrastato la sua scelta, mentre è comprensibile che lo abbiano fatto parenti e amici. Fortemente favorevoli immagino che di solito sono quelli che propugnano simili scelte, sia in campo religioso che sessuale che politico.

E' vero che tali scelte potrebbero trovare motivazioni psicologiche alla loro base, ma questo è vero di qualsiasi scelta. Ogni scelta ha una motivazione psicologica. Una così estrema probabilmente ha un significato psicologico di scelta salvifica, risolutiva di problemi e difficoltà di vita. Ma è credo ampiamente riconosciuta anche dalla storia della Chiesa, piena di episodimdi conversione miracolosa, magari dopo periodi di vita dissoluta o addirittura ostile. Come si fa a stabilire se è 'sana' o se è 'patologica' e se quella persona deve essere curata?

Non abbiamo criteri sicuri di risposta, credo dobbiamo riconoscere.

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