aspetti della psicoanalisi: momenti condivisi, sessualità, ecc.

Aspetti dell'esperienza psicoanalitica: esperienze e riflessioni.

L'esperienza psicoanalitica è stata definita vario tempo fa un'esperienza emotiva correttiva, concezione che è tornata a diffondersi recentemente, dopo essere stata osteggiata da molti.
A mio parere preferisco pensare all'esperienza della relazione analitica, nella stanza d'analisi, come un'esperienza 'conoscitiva', prevalentemente, accompagnata beninteso da emozioni e sentimenti. In effetti, un'esperienza 'globale' di conoscenza condivisa con una persona, che le condizioni di setting, stabilite in origine quasi casualmente, contribuiscono a rendere quasi un'esperienza unica, senza eguali. Anche se forse può realizzarsi a volte nella vita quotidiana, inaspettatamente, in un viaggio, in una conoscenza occasionale, in rari momenti in cui altri interessi e necessità sono per poco placati.
Questa concezione mi si è presentata dapprima nell'esperienza con i bambini, specialmente molto piccoli, che, dopo le prime fasi di giusta diffidenza della nuova situazione (nuovo ambiente e nuova persona), si buttavano nell'esplorazione dell'ambiente e della persona con un effetto stupefacente di un'esperienza di 'scoperta' che coinvolgeva entrambi i protagonisti ed aveva un potere emozionante molto forte.
Mi rimane stagliato nel ricordo la scena, negli anni ottanta del secolo scorso, di un bambino di poco più di tre anni, con ritardo evolutivo e del linguaggio, che uscendo tranquillamente dopo la seduta a incontrare la mamma le diceva: 'ancora', esprimendo così la sua intenzione di tornare e concentrando in quella parola tutta l'esperienza che aveva vissuto in seduta, che era stata particolarmente significativa. Era solo una seduta di valutazione, non di terapia. Un'altra volta, mi viene in mente, la stessa parola, 'ancora', veniva detta da una bambina autistica, in uno dei rari momenti di contatto e condivisione di un'esperienza che riusciva ad avere.
Bambini di un'età superiore e con possesso maggiore del linguaggio possono esprimere con altre parole quei momenti di esperienza, particolarmente intensi - gli stessi credo che hanno colpito Daniel Stern che li ha chiamati 'now moments', o 'present moments' (2004). Secondo Stern sono i momenti essenziali dell' hic et nunc, here and now, che molti psicoterapeuti considerano l'aspetto prevalente dell'esperienza terapeutica. " Certain moments of shared immediate experience, such as a knowing glance across a dinner table, are paradigmatic of what Stern shows to be the core of human experience, the 3 to 5 seconds he identifies as 'the present moment.' By placing the present moment at the center of psychotherapy, Stern alters our ideas about how therapeutic change occurs, and about what is significant in therapy." http://books.google.it/books/about/The_present_moment_in_psychotherapy_a...
Non so esattamente come li considera Stern, che ho sentito una volta a Firenze nei primi anni 2000, a me si sono imposti come un modello di un'esperienza conoscitiva che raggiunge in quel breve momento una libertà notevole dai fattori che normalmente limitano e alterano l'esperienza conoscitiva con una persona, come intenzioni diverse, interessi, timori, interferenze. Nella situazione individuale, cioè nel singolo, mi sembra che assomigliano ai momenti di 'eureka', in cui cioè si presenta alla mente per la prima volta la soluzione di un problema, l'idea che permette di fare un passo avanti... Forse le esperienza orientali di meditazione, attraversoil raggiungimento di uno stato mentale liero dalle 'distrazioni' ambientali, hanno qualcosa in comune, come di ricerca di un'esperienza che normalmente è 'coperta' dal chiasso della vita, si potrebbe dire.
Questi momenti, come sa chi li ha provati, sono accompagnati da un'intensa emozione di contentezza, di appagamento, quasi allo stato puro, che nel breve momento è libera da altri aspetti che potremmo chiamare riassuntivamente 'narcisistici' o utilitaristici. La breve esperienza della 'scoperta' rappresenta probabilmente un'unicum dell'esperienza conoscitiva ed emotiva legate insieme, che giustamente, come dice Stern, sono per un attimo 'condivise'.
Penso che anche il termine 'revérie' che usa W.R. Bion indichi i momenti simili fra madre e figlio che per il grande psicoanalista britannico sono la chiave di avvio dello sviluppo mentale, con l'imprinting, potremo dire, che fissa la stabilizzazione della 'funzione alfa' alla base del funzionamento mentale come condizione per l'avvio dello sviluppo e della trasformazione dei dati dell'esperienza in mattoni per la costruzione del mondo della mente, e per la differenziazione fra l'esperienza mentale vitale e l'esperienza patologica che impedisce lo sviluppo ed è alla base dell'esperienza psicotica.
Orbene, con i bambini questo tipo di esperienza mi è sempre sembrato relativamente più frequente e facile da incontrare, tanto più quanto più erano piccoli, progressivamente più difficili e meno frequente col crescere dell'età, fino a essere molto rari e difficili con gli adulti, raggiungibili solo dopo molto tempo, anche se non obbligatoriamente. Forse è quello che Donald Meltzer descrive come 'gathering of the transference', raccoglimento del transfert in seduta, prima fase del suo primo grande libro, Il Processo Psicoanalitico.
In effetti, man mano che cresce l'età, le modalità di comportamento e di relazione 'apprese' nel contesto familiare e sociale costituiscono delle barriere sempre più forti a questo tipo di 'scoperte' tanto più quanto le esigenze personali di difesa e di controllo erano rigide e difficili da superare. e ne ha forse un'immagine nell'evoluzione abituale del disegno del bambino da libero ed esplorativo ed artristico all'inizio verso forme sempre più adattate alle richieste ambientali, fino all'assurdità di riempire pazientemente di colore figure prestampate...
E' come se la breve fase esplorativa del bambino, volta a superare la diffidenza dell'estraneo, per accedere all'esperienza conoscitiva libera di remore, nell'adulto si prolungasse a dismisura per il peso della corazza sociale acquisita e spesso solo in rarissimi momenti si apre la porta dell'esperienza conoscitiva libera. Sono questi in realtà i momenti 'terapeutici', quelli in cui può aver luogo l'esperienza conoscitiva (ed emotiva) che può cambiare l'organizzazione mentale del paziente. Mi domando se Meltzer descriveva cose di questo tipo, nel suo ultimo libro 'Il Claustrum', descrivendo le barriere che imprigionano le persone nello spazio che secondo lui era claustrofobico e legato all'uso eccessivo e patologico di quel meccanismo psichico denominato identificazione proiettiva che è forse ancora tanto confuso e misconosciuto. Sottolineava come a quel punto si scopre una nuova persona, irriconoscibile rispetto al modo di presentarsi del paziente all'inizio e a lungo.
Per cui con i pazienti adulti, quanto più sono 'preparati', quanto più hanno un'idea precisa di quello che si aspettano e di come deve essere e svolgersi l'esperienza terapeutica che vanno a fare, tanto più dunque la fase 'esplorativa' e di avvicinamento è lunga e difficile, per liberarsi di tutti gli aspetti che deformano e occludono la possibilità della nuova esperienza di conoscenza.
Per inciso questo modo di vedere mi sembra ponga in luce più chiara le complicazioni date dalle componenti sessualizzate dell'esperienza terapeutica, che sono ben noti ostacoli alla conoscenza mentale condivisa. In effetti la Bibbia usa il termine 'conoscenza' sia per il rapporto sessuale, che per il tabù principale che viene infranto dal 'peccato' di Adamo ed Eva, nel trasgredire la proibizione di cogliere il frutto dell'albero proibito. Sembra indistinta quindi la conoscenza come prerogativa divina, oggetto di tabù, e la sessualità come esperienza umana e animale istintiva, che sono denominate dalla stessa parola. La confusione sembra inevitabile.
C'è qualcosa di questo penso nel fatto che la sessualità si infiltra nell'esperienza analitica, e in ogni esperienza 'lavorativa', in realtà, come qualcosa che turba, confonde e ostacola ( in termini bioniani gruppali, come Assunti di Base che ostacolano il Gruppo di Lavoro) e viene quindi resa 'tabù' nel processo analitico perchè l'esperienza analitica possa realizzarsi e andare avanti.
E qui forse, ripensando agli aspetti diversi dell'esperienza analitica con bambini e rispettivamente con adulti, la riflessione porterebbe a contraddire quello che per Freud era una delle sue massime scoperte, cioè dell'identità, quasi, della sessualità adulta e di quella infantile. In realtà credo che Freud le differenziasse bene, però nella vulgata è rimasta come fulcro del freudismo l'idea dell'estensione della sessualità, come vissuta dagli adulti, ad ogni ambito dell'esperienza mentale, al di là di ogni limite di spazio e di tempo.
La grande differenza, a mio parere, nella relazione analitica, con bambini molto piccoli o adulti, è che la componente erotica sempre presente in modo condiviso nel rapporto con gli adulti, non lo è con i bambini piccoli, salvo verosimilmente con bambini che hanno avuto esperienze con adulti eccessivamente sessualizzanti, pur senza sconfinare con l'abuso. Questi bambini quindi tendono a metterla in atto come una modalità 'appresa' che deforma l'esperienza conoscitiva condivisa, come altre forme di 'apprendimento relazionale' fissate dalla convivenza sociale. Altrimenti i bambini piccoli sembrano non ostacolati da modelli sociali nè sessuali nell'esperienza di conoscenza condivisa con l'adulto nella situazione analitica.
Anche nella psicoterapia, come nella vita familiare, la sessualità deve avere un suo spazio separato perchè altrimenti -come vediamo molto spesso - invade tutto il funzionamento familiare alterando gravemente l'evoluzione e il funzionamento di tutti i membri della famiglia. Cosa che a mio parere è rappresentata adeguatamente dal 'Mito di Edipo', che resta una delle grandi scoperte di Freud, pur se oggi molto misconosciuta. Si tratta ovviamente di un conflitto edipico molto diverso dalla vulgata semplificante che viene fatta circolare per poterla meglio demolire. E' in effetti il problema di come 'contenere' la sessualità, componente istintiva fondamentale dell'essere umano, come parte della sua natura biologica, accanto alla sua spinta alla conoscenza, che lo differenzia da tutto il resto della natura e lo rende 'simile a Dio' o addirittura in competizione con Dio nel delirio megalomanico. Come si vede nella storia, degli eventi, delle civiltà, delle culture, delle religioni, (e nella storia di molte famiglie) non è una cosa da poco.
Per questo, dunque, la componente sessuale che comunemente si infiltra nell'esperienza analitica, è in realtà un disturbo e un ostacolo alla realizzazione dei momenti di conoscenza condivisa che probabilmente sono il fulcro dell'esperienza terapeutica.
Vediamo forse una trasposizione iperbolica di ciò nell'obbligo del celibato imposto ai preti cattolici come condizione per l'accesso alla conoscenza condivisa di Dio, potremmo dire, là dove il momento di lavoro occupa tutto lo spazio della vita della persona, risolvendo il conflitto intrinseco all'uomo eliminando la sua parte 'sessuale'. Come addirittura faceva qualche antico Padre della Chiesa evirandosi.

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