Il problema della diagnosi

La diagnosi in psichiatria, infantile e non, sta diventando una trappola perversa molto più pericolosa che in passato, almeno nel campo infantile.
E' a mio avviso uno degli strumenti più nocivi della psichiatria attuale, che sembra riuscita, nella percezione degli strumenti di informazione (media) e delle persone, a trasfomare le sofferenze e le ansie di fronte ai problemi e alle difficoltà della vita in 'malattie' dei singoli individui. Sono state così coniate come moneta sonante, negli ultimi decenni, una quantità di nuove malattie che hanno avuto una vera e propria epidemia fra gli adulti, a partire dalla Depressione, agli Attacchi di Panico, ai Disturbi Bipolari, a quelli Borderline, ecc.
Anche per i bambini, di fronte a variazioni dello sviluppo e del comportamento rispetto alle medie stabilite come norme per l'età, medici e psicologi , più o meno specializzati nelle migliaia di scuole di specializzazione sfornate al bisogno, corrono subito a fare la diagnosi: 'fotografano' per così dire il bambino con tecniche varie, test, liste di sintomi e segni, e poi corrono alle 'istruzioni per l'uso', calcolano il punteggio e in base agli schemi predisposti emettono enfaticamente la 'diagnosi': “il bambino corrisponde al seguente 'Disturbo', previsto dal DSM di turno... E ovviamente danno indicazioni 'terapeutiche', che di solito consistono in psicomotricità, logopedia, o altro a seconda delle offerte del mercato locale, in praticano delegano bambino e famiglia a operatori con scarsa formazione ed esperienza di sviluppo infantile. Alla visita successiva, tre o sei mesi dopo, una nuova 'fotografia' attesta la situazione, per cui viene emessa una nuova diagnosi, che può corrispondere o meno a seconda dei punteggi: in base a questi magari il bambino “esce” da una diagnosi ed “entra” in un'altra. Sarebbe solo comico e ridicolo, se non avesse conseguenze gravi, a volte tragiche, per i malcapitati che vanno sotto a tali forche, bambini e famiglie.
Mai come ora torna valido quindi l'insegnamento di Adriano Milani Comparetti, pioniere della neurologia infantile, che fin dagli anni '70 del secolo scorso non si stancava di ripetere che nello sviluppo infantile la diagnosi non conta, bensì, diceva lui, contava la prognosi.
Modificando solo in parte la sua lungimirante affermazione, la pratica negli anni seguenti, basata specialmente sull'esperienza di de-istituzionalizzazione dei bambini considerati handicappati e il loro inserimento o mantenimento nell'ambiente familiare e scolastico 'normali', questa pratica dunque ha portato a considerare essenziale la valutazione dell'evoluzione del bambino nel suo ambiente con le opportunità necessarie per lo sviluppo e l'identificazione degli eventuali ostacoli che vi si potevano frapporre, vere e proprie 'barriere architettoniche' mentali da abolire. La 'prognosi' di malattie ed hanicap considerati invariabili cambiava completamente.
Il termine usato e tuttora in uso è 'diagnosi funzionale', che mira appunto alla valutazione delle 'funzioni' in gioco e delle loro difficoltà, in ordine a intervenire sulle carenze e gli ostacoli messi a fuoco. Ma spesso nel mare magnum del territorio è diventato solo un termine burocratico, perdendo le potenzialità che aveva.
Non c'è da stupirsi che la moda psichiatrica proveniente dagli Stati Uniti a seguito delle varie edizioni del DSM vada in direzione completamente contraria. E' mancata completamente infatti, laggiù, l'esperienza dei cambiamenti osservati nella prognosi delle persone, col cambiamento dell'ambiente in cui erano confinati, spesso dalla nascita o dalla primissima infanzia.
E l'attuale insegnamento della psichiatria e neuropsichiatria infantile in Italia è spesso completamente avulso dal lavoro sul campo nel luogo dove i le persone i bambini le famiglie gli insegnanti vivono e lavorano: nessuna meraviglia che abbia seguito acriticamente la moda pseudoscientifica d'oltre oceano, opportunamente foraggiata da regalie e prebende.
L'effetto è sotto gli occhi di tutti, credo. I medici e gli psicologici che escono da queste 'scuole' (non si chiamano più nemmeno 'facoltà' !) in gran parte vengono trasformati in esecutori di test e operazioni pre-programmate che hanno perso le capacità cliniche indispensabili a questo lavoro.
Torniamo quindi alla diagnosi funzionale, per individuare gli elementi in gioco, positivi e negativi, a tutto campo, su cui eventualmente intervenire per favorire e facilitare lo sviluppo dei bambini che si trovano on difficoltà. E lasciamo l'eventuale ricerca di diagnosi mediche 'reali', non 'spettri' presenti solo nei deliri della nuova psichiatria, a medici e neurologi seri che attraverso gli strumenti a disposizione possono trovare eventuali lesioni e malattie reali, metaboliche o genetiche o di altro tipo, che possono ovviamente sottostare a difficoltà di sviluppo e alterazione di capacità e comportamenti, come nelle malattie genetiche, nelle malformazioni cerebrali, nell'epilessia, nelle malattie neuroevolutive, ecc... Ma senza sostituire ai reperti di reali malattie comprovate dal riscontro di chiari elementi di lesione e perdite di funzioni di organi e cellule e strutture subcellulari, senza sostituirci dunque come provate e documentate, ipotesi che invece sono solo a livello di 'spettri' presenti nella mente di aspiranti premi Nobel più o meno specchiati (nei neuroni...). Non c'è bisogno di inventare nuove malattie, c'è bisogno di una maggiore competenza e serietà, e forse di cambiare qualcosa anche nelle Università e nei Servizi sanitari pubblici, per la formazione di clinici capaci di svolgere questo lavoro a partire dalla capacità di osservare la realta.
(2013)

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