Un modello evoluzionistico in neuropsichiatria infantile.

Un modello evoluzionistico in neuropsichiatria infantile.

Si potrebbe chiamare ‘evoluzionistico’, sulle orme di Darwin, il modello di pensiero e di intervento che via via mi si è imposto nella pratica clinica e nello sfondo di ipotesi sullo sviluppo e sul funzionamento mentale.
O comunque ‘evolutivo’, ma con un’impostazione globale che tiene conto dell’individuo e anche del suo ambiente relazionale e delle esperienze vissute nella sua storia evolutiva. Sullo sfondo c’è il concetto (modello epigenetico) che l’essere umano nasce preprogrammato geneticamente per adattarsi all’ambiente ma che le influenze ambientali influiscono sullo sviluppo delle competenze programmate geneticamente. Per cui , riprendendo Noam Chomsky, è la ‘grammatica generativa innata’ che fonda le competenze del bambino ad apprendere il linguaggio, ma è l’ambiente intorno a lui che determina quale lingua imparerà, se il cinese, l’italiano o lo zulù. Il bambino non esposto al linguaggio umano (o perché sordo o perché in un contesto umano non sufficientemente comunicante) non imparerà a parlare, come descritto nei resoconti sui “bambini selvaggi”, primo fra tutti il caso del Ragazzo selvaggio dell’Aveyron descritto da Lyotard nell’ottocento, e oggetto anche di un film di Trouffault.
Alla stessa maniera è presumibile che le competenze psicologiche generali, relazionali, cognitive, ecc siano pre-programmate geneticamente e che sia l’interazione con l’ambiente che ne determina lo sviluppo effettivo. Alla base dello sviluppo psicologico umano c’è quindi l’interazione fra le competenze innate e l’esperienza vissuta che ne determina lo sviluppo. L’insieme costituisce l’apprendimento, globalmente inteso: delle relazioni, delle comunicazioni, del linguaggio, delle modalità di contatto sociale, della gestione delle emozioni e degli affetti.
I disturbi e le difficoltà di evoluzione delle capacità psichiche, della personalità, del funzionamento mentale, del rapporto con l’ambiente, derivano quindi – concettualmente - da ostacoli che interferiscono con l’interazione sufficientemente buona fra competenze innate e stimoli ambientali, su un continuo che da una parte vede gli aspetti organici corporei del SNC e degli organi di senso, geneticamente determinati, dall’altra le caratteristiche ambientali, culturalmente determinate.
La psichiatria ha quasi sempre privilegiato l’attenzione esclusivamente sulle caratteristiche individuali, -occorre ricordare però una notevole eccezione: la psichiatria americana, e anche anglosassone, ha sempre avuto un filone aperto alle influenze ambientali, fin da Adolf Meyer attraverso H Sullivan e in Inghilterra Maxwell Jones per arrivare allo psichiatra inglese Engel, che coniò il termine di modello bio-psico-sociale nella psichiatria - fin dall’inizio dell’era ‘scientifica’, nell’ottocento, coniando il concetto di ‘degenerazione’ organica, come etiologia dei disturbi mentali, evolvendo poi con lo sviluppo delle scienze neurologiche verso il modello biochimico recettoriale e neuro-trasmissivo attuale, secondo il quale i disturbi mentali deriverebbero dallo ‘sbilanciamento’ di un equilibrio biochimico cerebrale completamente interno all'individuo, senza alcun rapporto col suo ambiente e la sua storia.
Le teorie psicologiche, psicoanalitiche e cognitive, allo stesso modo privilegiano generalmente gli aspetti individuali, con il concetto di caratteristiche ‘costituzionali’ di base su cui incidono il modo di elaborare le esperienze affettive in rapporto alle spinte istintuali e all’apprendimento. In particolare le attuali teorie cognitive e neuropsicologiche insistono sugli aspetti meccanici di elaborazione delle informazioni, a modello dei computer, pur distinguendo fra aspetti hardware ed aspetti software, dove tutto il problema viene comunque incentrato sul computer/cervello, e nulla sul tipo di informazione, considerato neutro e senza effetti sull’elaborazione stessa. Ma in realtà anche i programmi di computer vanno spesso in tilt di fronte a eccessi di informazioni o informazioni contraddittorie, e compaiono sullo schermo i frustranti avvisi: “errore tipo x o y”...
La teoria dei sistemi e i successivi sviluppi della terapia familiare hanno messo al centro dell’attenzione invece la relazione fra i costituenti del sistema, ed anche gli sviluppi di psicologia dei gruppi hanno portato interesse al funzionamento del gruppo, al cui interno gli individui risentono di influenze specifiche legate al fatto stesso di essere in gruppo. Questi sviluppi permettono di allargare l’attenzione agli aspetti globali della personalità correlati con le sue esperienze evolutive con l’ambiente e con la situazione gruppale concomitante.
Si può forse considerare come uno sviluppo di questo modello l’attuale teoria della complessità e del caos, basata sullo studio matematico degli sviluppi non lineari. Molti campi scientifici sono influenzati da questi modelli: dalla meteorologia, dove Lorenz ha coniato il detto “il battito d’ali di una farfalla in Messico può determinare una tempesta in California”; alla biologia marina, all’economia, ecc, dove minime variazioni delle condizioni ambientali e delle loro caratteristiche originarie possono determinare effetti completamente diversi; alla psicologia e alla psichiatria, dove le caratteristiche di sistema complesso in ‘rete’ con un ambiente altamente variabile rendono conto degli aspetti non lineari dello sviluppo psicologico e dei disturbi del funzionamento mentale.
Lo studio e l’esplorazione dei sistemi complessi si rivela quindi altamente importante per valutare, ad esempio, gli effetti di minime variazioni di qualcuno dei fattori in gioco, dove però molti dei fattori stessi sono spesso sconosciuti. La situazione è simile per certi versi a quella delle ‘scienze’ per antonomasia, la matematica e la fisica, alle prese col venir meno delle certezze fondate sulle teorie cosmologiche newtoniane, da una parte, e le teorie e i fondamenti euclidei dall’altra, con l’attuale estendersi dei modelli quantistici e delle teorie del Big Bang e Buchi Neri da una parte, e i paradossi logico epistemologici di Godel e di Heisemberg dall'altra.
A maggior ragione sembra necessario applicare allo studio della psicologia umana, normale e patologica, individuale e gruppale, strumenti in grado di apprezzare la complessità dei fattori in gioco.

Nella pratica professionale l’atteggiamento più utile a mio parere, di fronte alla richiesta di una valutazione e successivo intervento terapeutico in situazione di disturbo dello sviluppo o del funzionamento mentale – indipendentemente quasi dal tipo di patologia apparente, cioè dai sintomi e dalle ipotesi diagnostiche - , è quello di porsi in un’ottica “esplorativa” che permetta di far emergere il maggior numero possibile di fattori in gioco nella situazione in oggetto: individuali interattivi attuali e pregressi. Il setting che quindi sempre più spesso proponiamo nell'ambulatorio di Villa Basilewsky fin dalla prima visita è quello dell’esplorazione allargata a tutto il nucleo familiare. O, nel caso la richiesta venga da una scuola o una comunità, a tutto il gruppo classe o comunità, e non al singolo isolato dal suo ambiente. Via via che emergono aspetti utili, si potrà approfondirli in modo individuale o mettendo a fuoco disfunzioni nei sottoinsiemi che costituiscono l'insieme principale sotto esame, che di solito è la famiglia del paziente che presenta i sintomi. Più che 'designato' dal resto della famiglia, termine che sembrerebbe riferirsi a meccanismi familiari più consapevoli, il paziente è il componente intrappolato più degli altri componenti in un groviglio che ne disturba lo sviluppo e il funzionamento.
Vedi anche: Il metodo esplorativo...
(gbenedetti 2009)

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