riguardo la professione di psicoterapeuta dell'infanzia ad orientamento psicoanalitico.

Buongiorno,

sono una psicoterapeuta dell’infanzia. Le scrivo perché mi trovo in un momento molto difficile della mia “neonata” professione e spero di trovare un interlocutore che possa capire e darmi qualche consiglio.

Mi sono laureata in psicologia a ... nel 200... Quando mi sono iscritta all’università non sapevo niente di psicoanalisi e dei vari orientamenti, ho seguito corsi per lo più ad orientamento cognitivista, li ho seguiti anche con un certo interesse, ma percependo , negli anni, che quello non poteva essere il mio modo di lavorare: non era affine a me e al mio modo di sentire. Sempre da studentessa ho avuto la possibilità di essere osservatrice durante una sessione dell’allora innovativa tecnica ABA, sono fuggita disgustata e spaventata dal modo irrispettoso con cui veniva trattato il piccolo paziente, in seguito mi sono laureata con una tesi in psicologia dinamica.

Dopo la laurea mi sono trasferita a ..., dove ho iniziato un lungo, difficile, interessante e costosissimo percorso per psicoterapeuta psicoanalitica dell'infanzia e adolescenza .... Per mantenermi economicamente in quegli anni ho dovuto lottare, fare tre lavori contemporaneamente, lavori di tutti i tipi, dall’educatore in casa famiglia, al portapizze, alla badante, alla cameriera, purtroppo con la crisi economica di questi anni i miei genitori non hanno potuto aiutarmi economicamente nel sostenere gli elevati costi della scuola, anche se per fortuna riuscivano a pagarmi le tasse annuali, ma rimaneva fuori l’analisi, le supervisioni, i convegni…e un po’ per vivere.
Ho avuto molti momenti di sconforto, per la fatica e soprattutto nel vedere come molti colleghi frequentassero scuole molto diverse e davvero molto meno impegnative. Quello che mi ha spinto ad andare avanti e a non mollare è stato l’interesse per la psicoanalisi, come metodo di cura , di sostegno, come uno strumento efficace per far fronte al dolore psichico, interesse che negli anni è diventato una vera e propria passione.
Soprattutto quando ho iniziato a seguire i primi pazienti, con tanta paura all’inizio (di sbagliare, di dire la cosa giusta/sbagliata, imparando con il tempo a stare solo lì) e a fare le prime supervisioni individuali, ho avuto la certezza che questo metodo potesse essere davvero utile, che risuonasse dentro di me come qualcosa di giusto, che valesse tutta la fatica che ci stavo mettendo, tutte le cose a cui avevo dovuto rinunciare.

Durante la specializzazione abbiamo affrontato spesso temi quali psicosi infantile e autismo, sia in ambito clinico che in letteratura. Ho letto con passione vari autori consigliati, riproponendomi di rileggerli negli anni per comprenderli con maggiore consapevolezza. Nel frattempo faccio quello che posso, lavoro al massimo delle mie capacità e competenze, acquisite con tanta passione e dedizione.

Nel 2011 ho raggiunto il numero di casi clinici necessari per finire, le supervisioni, ho scritto una tesi riassuntiva del mio lavoro, mi sono diplomata in psicoterapia psicoanalitica per l’infanzia, l’adolescenza e le famiglie. Questa specializzazione è così “contenitiva” che dopo ci si sente soli, senza rete, (ho anche finito l’analisi lo scorso ottobre, era la mia seconda analisi, la prima l’ho fatta per 5 anni a ..., tre volte a settimana, la prima è stata “curativa”, la seconda “conoscitiva”. Mi sono iscritta all’associazione di psicoterapeuti per trovare appunto una rete di condivisione, perché questo lavoro, bellissimo, è anche molto solitario, entro in studio tutti i pomeriggi alle tre ed esco alle otto, la libera professione sta ingranando, i pazienti mi arrivano da una pediatra che ho conosciuto ad un convegno, dalla tutor che mi ha seguito per i 4 anni di tirocinio alla usl (che non potrebbe nemmeno fare invii nel privato), da ex studenti della mia stessa scuola e adesso inizia ad esserci un passa-parola tra due, tre pazienti che hanno finito la terapia.

Da quando ho finito la scuola, mi sto rendendo conto che il mondo della psicoterapia è legato a dinamiche politiche ed economiche che non immaginavo e che tuttora faccio fatica a comprendere.

A ... con i colleghi, soprattutto con la “vecchia scuola”, quindi, diciamo, i docenti, i miei punti di riferimento, non si può parlare di autismo, certo si può fare una supervisione di un paziente autistico, ma questo è tutto.

Da quando sono uscite le "linee guida" ufficiali, è come se gli psicoanalisti dell’infanzia avessero quasi perso la speranza di poter esistere nel dibattito scientifico e soprattutto di poter arrivare alla gente, ai genitori di questi bambini che ora come ora non hanno scelta. Sicuramente hanno i loro validi motivi per aver paura di essere “messi al rogo” o denunciati dalle associazioni di genitori dei bambini autistici, motivi che io non conosco fino in fondo, ma sentirmi dire da un collega di cui mi fido che avere in terapia un paziente con diagnosi di disturbo generalizzato dello sviluppo è pericoloso, rischioso, (illegale?) sentirmi dire che se volessi aprire un sito internet non devo scrivere tra gli ambiti di intervento l’autismo e che comunque aprire un sito internet è un po’ come “svendersi” mi confonde, mi butta nello sconforto, mi fa chiedere che senso abbiano allora gli anni di ricerca e di studi.
La psicoanalisi ha sempre fatto paura perché è “amica del pensiero e della verità emotiva”, ma gli psicoanalisti da sempre hanno fatto i conti con questa paura, con l’ostilità che la società, la politica può avere verso questo orientamento, allora adesso cosa sta cambiando? Perché non possiamo anche adesso fare qualcosa contro questa ostilità e soprattutto, noi giovani colleghi cosa possiamo fare? Forse niente.

Io non penso che la psicoanalisi possa curare l’autismo, che magicamente il bambino autistico guarirà, penso però che la psicoanalisi possa prendersi cura di un bambino autistico e della sua famiglia e che con i meccanismi autistici, in alcuni casi, ci si possa fare qualcosa, ma solo se il dibattito psicoanalitico è fertile, aperto verso l’esterno e autocritico. Mi chiedo e le chiedo perché la psicoanalisi è così chiusa in sé stessa?

Seguo un paziente con tale diagnosi da 5 anni, la prima parola che ha detto è stata il mio nome, poi ha detto cado, poi ha iniziato a dire delle parole, la prima volta che ha pianto bagnando tutto il pavimento della stanza, ho pianto anche io, non volevo che mi vedesse e non volevo piangere, ma non potevo fare altro in quel momento perché il dolore era troppo intenso. Credo che quello che stiamo facendo abbia un senso, quest’anno inizierà la ... elementare, ha imparato a leggere e scrivere, ma soprattutto a sorridere e piangere. La famiglia di questo bambino è completamente disintegrata e si sente molto sola e abbandonata, certo sono seguiti dal sistema sanitario, ma per seguiti intendo che hanno proposto al piccolo paziente di fare logopedia, psicomotricità …. Va tutto bene, serve tutto, ma ai genitori non è stato proposto niente, chi parla con questi genitori?

La psicoanalisi con l’autismo deve mettersi in discussione, cosa chiediamo ai genitori dei nostri pazienti? Di avere una specie di fede verso questo metodo? Diciamo alle famiglie che devono portarci il bambino due o tre volte a settimana, che si sa quando iniziamo ma non si sa quando finiremo, che i cambiamenti saranno lenti, lentissimi, forse non ci saranno. Poi il bambino torna a casa, va a scuola e i genitori si sentono sempre più soli, a volte presi in giro, vanno su internet e trovano scritto solo ed esclusivamente che la tecnica ABA fa miracoli, guarisce, che è l’unica dimostrata scientificamente, della psicoanalisi non trovano niente, se si mette sui motori di ricerca: psicoanalisi e autismo, i risultati parlano solo dei danni che la psicoanalisi farebbe, gli psicoanalisti sono considerati dei ciarlatani su internet e la gente internet lo usa, come lo uso io.

Ho la fortuna che i genitori del mio piccolo paziente continuano ad avere “fede”, che forse il mio piccolo paziente non era poi così chiuso e perso e che i risultati sono visibili, ma io non accetto di essere considerata dal mondo scientifico una ciarlatana, e quello che non accetto più di ogni altra cosa è di non poter interagire con la gente e far conoscere questo metodo psicoanalitico.

Avevo proposto ai miei colleghi di ... di ristrutturare il sito dell’associazione per renderlo visibile (attualmente nei motori di ricerca non esistiamo), avevo proposto di mettere nelle parole chiave autismo, ma non si può, mi hanno risposto che voglio fare una guerra che è già persa, che sono ingenua e che la parola autismo non va nemmeno citata, cioè dobbiamo lavorare con questi bambini di nascosto sperando di non essere denunciati e lavoreremo con pochissime famiglie, quelle pochissime che per un qualche strano caso della vita, arrivano dentro il circuito psicoanalitico.

La gente per cercare un terapeuta usa internet, una volta avuta la diagnosi, usa internet per informarsi e troverà solo che deve fare l’aba.

Sono capitata sul suo sito ieri notte, mi sono intestardita a cercare un sito internet che parlasse anche della psicoanalisi come terapia per l’autismo, ho scoperto che la SPI ha risposto alle linee guide sull’autismo, altri che lavora proprio con i bambini non ha risposto. Ho scoperto che l’associazione di genitori di bambini autistici di Brescia tra i vari trattamenti inserisce anche la psicoanalisi e poi ho trovato il suo sito e ho pensato di scriverle.

Le chiedo scusa per la lunghezza di questa specie di lettera.

Trovo il suo sito davvero innovativo e utile, è utile perché è interattivo, la gente può fare delle domande, può sentirsi ascoltata e per gente intendo sia possibili pazienti sia colleghi, ho visto infatti la parte dedicata alle supervisioni. Quindi le scrivo per ringraziarla di aver creato un così buon contenitore telematico, che mi ha ridato un po’ di speranza riguardo al fatto che un collega che ha fatto una formazione simile alla mia e l’ha fatta molto tempo prima di me, sia aperto verso l’uso di internet come modo di interazione sociale e abbia avuto il coraggio di parlare a quei genitori apertamente dell’autismo .

Le scrivo anche per avere maggiori informazioni sul modello Basilewsky: esiste una bibliografia? organizzate dei convegni? Mi sembra interessante questo modello perché agisce su molti aspetti della vita del bambino e prende in considerazione la psicoterapia psicoanalitica solo se necessaria e come tassello di un intervento ben più ampio, mi chiedo però come riusciate ad attivare i vari tasselli del modello: tutto nel privato o ci sono dei rapporti con il sistema sanitario? L’osservazione della famiglia avverrà in studio immagino, ma poi per l’intervento educativo domiciliare e per l’intervento abilitativo, collaborate con educatori e logopedisti che lavorano sempre nel privato con un certo orientamento? Oppure avete proprio aperto un centro per l’autismo, una struttura multifunzionale con varie figure professionali?

Insomma le scrivo perché negli anni vorrei continuare a lavorare con pazienti psicotici e autistici e vorrei però continuare a “formarmi” e a pensare in modo critico a come usare lo strumento psicoanalitico in modo multidisciplinare.

La ringrazio in anticipo per l’attenzione

cordiali saluti

(lettera firmata)

Gentile dottoressa, ho letto

Gentile dottoressa,
ho letto la sua bella lettera e la ringrazio dell'autorzzazione a pubblicarla sul sito, chissà che non possa provocare altri interventi. Anch'io sono piuttosto meravigliato che non ci siano interventi aperti a difendere il proprio punto di vista, non solo sull'autismo ma su tutto il campo dello sviluppo infantile e che passi senza quasi colpo ferire la conquista del territorio e del 'mercato' da parte di lobby indubbiamente potenti politicamente, ma che 'scientificamente', come dicono loro, non possono produrre alcuna prova reale della veridicità delle loro posizioni. Ma chi urla di più, come si sa, spesso riesce a farcela.

Quello che preoccupa me non è tanto la questione professionale - sono avvantaggiato dall'essere ormai in pensione - quanto il disastro prodotto su tante famiglie sui bambini e sulla cultura che passa sui media dal prevalere dogmatico delle posizioni neopositiviste che tendono a rendere le persone quasi solo pezzi (cerebrali) assemblati insieme e le relazioni e la vita mentale e interpersonale solo come risposte precondizionate da un apprendimento fatto di istruzioni per l'uso. Molte famiglie che vedo sono distrutte da tante diagnosi assurde di 'spettro autistico' e dai test ADOS e da interventi 'specifici' ecc. Certo stupisce che il campo psicoanalitico quasi si sia ritirato intimorito e rinunciando a difendere la propria visione della realtà, accettando quasi supinamente la validità delle 'evidenze' portate dai neopositivisti, a mio avviso vuote ed evanescenti.

Non sono a conoscenza dell'evoluzione interna ai gruppi psicoanalitici in Italia e altrove, nè alle altri componenti del campo psicoanalitico che seguo solo da lontano, da vario tempo, più che altro perchè gli ultimi anni di lavoro nel servizio pubblico mi avevano portato a privilegiare un'ottica familiare - pur se con un pensare psicoanalitico retrostante, dato che i miei riferimenti restavano Bion e Meltzer. Forse c'era qualcosa anche simile a quello che descrive Lei...

Il periodo Basilewsky (nome della Villa a Firenze, di fronte alla fortezza, sede del servizio asl per l'infanzia nel Quartiere 5 dal 2000 al 2010 ), è finito appunto da qualche anno, il gruppo di lavoro disgregato e io stesso convinto a pensionarmi qualche anno prima per il ridursi degli spazi di lavoro. Mi spiace deluderla nelle sue aspettative: il metodo Basilewsky credo tuttavia che esista, senza questo nome, dove ci sono colleghi che mantengono un modo di pensare autonomo e capace di vedere e affrontare i problemi e le difficoltà nella vita delle famiglie e dei bambini, senza vedere le cose solo in modo meccanico e settoriale per aderire ai modelli più in voga. Ma non più come realtà (più o meno) organizzata come è stato per un periodo.

Credo che il metodo psicoanalitico, nell'accezione di Meltzer - abbiamo fatto un convegno con questo titolo, 13 anni fa - permetta di vedere molti aspetti della realtà che ci troviamo di fronte nel lavoro clinico, sia a livello individuale che familiare che di gruppo e istituzionale in modo ancora insostituibile e non eguagliato.
Vale la pena aspettare che passi il periodo sfavorevole, e attrezzarsi per resistere, come è successo alla psicoanalisi in altri periodi e in altre situazioni, nella germania nazista, nei paesi 'sovietici', ecc. Certo l'attacco alla capacità di pensare è molto forte in questo periodo e rieccheggia quello che alcuni libri avevano anticipato nel novecento, come 'Il nuovo mondo di Huxley' o '1984' di Orwell, che citava spesso Meltzer.
Una volta si diceva che, anche se non si vede, la vecchia talpa è sempre al lavoro e ogni tanto uscirà alla vista, pur se non è facile prevedere dove e come... Non bisogna scoraggiarsi.

Cordialmente e con i migliori auguri

Gianmaria Benedetti

La ringrazio per avermi

La ringrazio per avermi risposto così velocemente,

...devo ammettere che ho letto la sua risposta con un senso di sconforto, perchè la verità è davvero inquietante: non esistono più delle realtà organizzate in cui si possa lavorare con un approccio psicoanalitico, senza piegarsi alle( im)-posizioni neopositiviste e non c'è nessun modo di crearne di nuove, ma la cosa peggiore è che, a mio avviso, non (r)-esiste più l'approccio psicoanalitico. La realtà psicoanalitica mi sembra composta da associazioni al cui interno si stanno ripresentando giochi di potere, interessi personali ed economici che ben poco hanno a che vedere con quello che io credevo devesse essere la realtà psicoanalitica (semplicemente un contenitore di dialogo, ricerca, messa in discussione, studio, qualcosa di fertile insomma).
Sono veramente allibita e scoraggiata ..., non riesco a capire come muovermi all'interno dell'associazione, del mondo scientifico e quindi come continuare a fare questa professione, per ora quasi tutte le dinamiche sotterranee agli ambienti che sto frequentando, mi sembrano oscure e prive di valore: sono interessanti i convegni che vengono organizzati, le supervisioni...., i nuovi articoli così ben scritti che leggiamo, le nuove (poche) teorie che si evolvono (come quelle della Vallino), ma poi mi sembra tutta solo una facciata esterna, la punta dell'iceberg, sotto c'è un enorme strato di ghiacchio, glaciale, fermo e irremovibile.

la verità è che per noi giovani non c'è più niente.

La mia generazione (io ho 33 anni) è nata nel tipo di cultura da Lei descritta, abbiamo conosciuto solo questo, non c'è spazio per il pensiero, per il cambiamento, non c'è lavoro, non ci sarà pensione, non ci sono "contenitori" nè politici nè religiosi nè scientifici, niente regge.

è così vero e spaventoso che questo periodo storico è assimilabile alla germania nazista o ai paesi 'sovietici' e bisognerebbe attrezzarsi per resistere.

Ma la mia generazione è più debole, chi nasce in una società perversa e priva di speranze, chi non può visualizzare un futuro, non può che essere debole.
...
Un caro saluto

Mi spiace che la mia risposta

Mi spiace che la mia risposta le abbia provocato lo sconforto che dice e che è visibile nella sua lettera, che si allarga ad esprimere un vissuto comune a molti giovani della sua età in questo periodo che rischia di vedere una generazione intera 'sprecata' e sperduta in una società in cui sembrano essere venuti al pettine i nodi di una situazione incancrenita negli ultimi decenni.

Io le direi che forse, come non è tutto oro quello che luccica, non è tutto nero quello che è buio, talvolta basta un lieve cambiamento di ottica che la luce filtra e illumina le cose che allora possono apparire appunto in un'altra luce. Non è detto che questo periodo sia completamente negativo, neanche per le posizioni psicoanalitiche, perchè potrebbe far vedere meglio certe posizioni negative e dannose del passato: non è certo strano che la 'politica' e gli interessi economici governino la vita e il funzionamento delle istituzioni psicoanalitiche e psicoterapeutiche, come di tutte e istituzioni in genere. Quelle psicoanalitiche non sfuggono dalle caratteristiche di tutte le istituzioni, che la stessa psicoanalisi ha spesso descritto, dove interessi diversi, di autoconservazione o più primitivi/patologici come gli 'assunti di base' descritti da Bion, spesso prendono la mano sopra agli interessi e scopi specifici dell'istituzione.

E' importante non buttar via il bambino con l'acqua sporca, cioè l'utilità e il vantaggio di poter utilizzare il sostegno e gli apporti che si trovano in un'Associazione, specialmente da giovani e all'inizio del proprio lavoro.
Credo poi che sia un grande vantaggio il poter utilizzare nell'osservazione della realtà clinica un'ottica e un metodo psicoanalitico - che per me ha le caratteristiche del metodo scientifico tout-court, senza gli aspetti procedurali dogmatici e i rituali ossessivi che oggi predominano nella cosiddetta 'comunità scientifica' psichiatrica e psicologica- indipendentemente dal 'setting' utilizzato.

Credo poi che i pazienti, le persone, le famiglie che sono spesso in cerca di un aiuto che non trovano facilmente ad affrontare le loro situazioni, spesso sappiano cogliere le caratteristiche di fondo di chi hanno davanti, senza badare troppo alle 'mode' prevalenti, anche se queste influenzano sicuramente le scelte.

Gianmaria Benedetti

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