anni di antidepressivi e la sintomatologia non regredisce, perchè?

una probabile risposta ci viene dal New England Journal of Medicine

Un nuovo studio ha evidenziato che i produttori di antidepressivi come il Prozac e il Paxil non hanno mai pubblicato i risultati di circa un terzo degli studi farmacologici da loro condotti per ottenerne l’approvazione governativa, fuorviando i medici e i consumatori circa la reale efficacia del farmaco.

Negli studi pubblicati, in cui si confrontava l’efficacia dell’antidepressivo rispetto al placebo, circa il 60% dei pazienti cui veniva somministrato il farmaco presentava un significativo miglioramento della depressione, rispetto a circa il 40% di quelli che miglioravano senza assumerlo (pazienti trattati con placebo). Ma se si includono gli studi meno positivi e mai pubblicati nella letteratura scientifica, il vantaggio dell’antidepressivo sul placebo si assottiglia: il nuovo lavoro, pubblicato su The New England Journal of Medicine, evidenzia che i farmaci risultano ancora migliori del placebo, ma con una differenza modesta.

Una precedente ricerca aveva trovato un simile errore statistico nei confronti dei risultati ritenuti positivi per una varietà di farmaci; e molti ricercatori avevano posto in dubbio l’efficacia degli antidepressivi. Questa nuova analisi, che rappresenta una revisione dei dati ottenuti da 74 studi con l’impiego di 12 farmaci, è la più approfondita e aggiornata. E riesce a documentare una grande differenza: mentre il 94% dei lavori con risultati positivi trovarono il modo di giungere alla pubblicazione, di quelli con risultati deludenti o incerti solo il 14% è stato pubblicato.

Questa scoperta probabilmente infiammerà a lungo un dibattito sul modo in cui devono essere riferiti i dati ottenuti dagli studi sui farmaci. Nel 2004, dopo che si venne a sapere che non erano stati pubblicati gli studi con risultati negativi, un gruppo di importanti riviste mediche si trovarono d’accordo nell’interrompere la pubblicazione degli studi clinici che non fossero stati registrati in un database pubblico. Gruppi commerciali, rappresentanti le più importanti case farmaceutiche, annunciarono che le industrie avrebbero iniziato a rilasciare più rapidamente i dati degli studi, sul loro proprio database, clinicalstudyresults.org.

E lo scorso anno, il Congresso ha approvato una legge che ha puntualizzato il tipo di studio e l’accuratezza dell’informazione che deve essere inviata al clinicaltrials.gov, un database pubblico gestito dalla National Library of Medicine. Il sito della Food and Drug Administration (FDA) fornisce un limitato accesso a recenti rassegne degli studi farmacologici, ed i critici ritengono che la navigazione del sito sia un’impresa ardua.

“Questo è uno studio molto importante per due ragioni” ha detto il Dr. Jeffrey M. Drazen, editore del The New England Journal. “Una è che quando si prescrive un farmaco, vorremmo essere sicuri di ragionare con i migliori dati disponibili; voi non comprereste della merce conoscendo solo 1/3 della verità su di essa”.

La seconda ragione è che “si deve avere rispetto delle persone che hanno accettato di sottoporsi alla sperimentazione in uno studio clinico”.

“Queste persone si sono sottoposte ad un certo rischio nel partecipare allo studio, e poi la casa farmaceutica nasconde i risultati?” – si domanda.

Alan Goldhammer, vice presidente per le questioni normative alla Pharmaceutical Research and Manufacturers of America, ha detto che il nuovo studio si è dimenticato di ricordare che l’industria e il governo hanno già preso provvedimenti per rendere più trasparente l’informazione sugli studi clinici. “Il lavoro si basa su dati precedenti il 2004, e da allora noi abbiamo messo a riposo il mito che le aziende hanno qualcosa da nascondere” – ha continuato.

In questo studio, un gruppo di ricercatori ha iniziato con l’identificare tutti gli studi sugli antidepressivi presentati alla FDA per ottenere l’approvazione dell’agenzia dal 1987 al 2004. Negli studi sono stati coinvolti 12.564 pazienti adulti con lo scopo di valutare l’efficacia di farmaci come il Prozac della Eli Lilly, lo Zoloft della Pfizer e l’Effexor della Wyeth.

Per i farmaci approvati più recentemente, i ricercatori ottenevano i dati mai pubblicati dal sito della F.D.A. Per quelli più vecchi, essi sono andati a scovare copie cartacee di studi mai pubblicati tramite colleghi o usando il Freedom of Information Act. Hanno inoltre scritto alle case farmaceutiche che hanno condotto gli studi per chiedere se eventualmente fossero stati pubblicati.

Gli autori hanno trovato che 37 dei 38 studi che l’FDA ha potuto vedere e che avevano risultati positivi erano pubblicati su riviste scientifiche. L’agenzia ha potuto analizzare 36 altri studi con risultati fallimentari o non convincenti, dei quali solo 14 erano stati pubblicati.

Ben 11 di questi 14 articoli “davano l’idea di un risultato positivo” che non trovava però alcuna giustificazione dopo un’approfondita revisione dell’FDA, dice il primo autore dello studio, il Dr. Erick H. Turner, psichiatra ed ex recensore per l’FDA, attualmente impiegato alla Oregon Health and Sciences University e al Portland Veterans Affairs Medical Center. I suoi co-autori sono ricercatori della Kent State University e della University of California, Riverside.

Il Dr. Turner afferma che il riportare, dopo averli selezionati, solo gli studi favorevoli provoca delusione nei pazienti. “Il fatto è che, io penso, le persone che desiderano prendere un antidepressivo dovrebbero essere più guardinghe nell’assumerlo, e non rimanere colpite se non funziona o credere che sia un farmaco sbagliato per loro”.

Per i medici, ha aggiunto “Ora possono smettere di chiederci ‘com’è che questi farmaci sembrano funzionare così bene in tutti gli studi e io non ottengo la stessa risposta?’”.
Il Dr. Thomas P. Laughren, direttore della divisione dei prodotti psichiatrici alla FDA, afferma che l’agenzia si è da molto tempo resa conto che gli studi con risultati favorevoli sono quelli pubblicati con maggiore probabilità nei giornali scientifici. “E’ un problema con cui stiamo combattendo da anni” ha dichiarato in un’intervista. “Non ho alcun problema ad accedere pienamente a tutti gli studi clinici; la questione per noi è come fare a mettere tutto dentro un foglietto illustrativo del farmaco”.

Il Dr. Donald F. Klein, professore emerito di psichiatria alla Columbia, ritiene che i produttori di farmaci non siano i soli ad essere riluttanti a pubblicare risultati non convincenti. Le riviste scientifiche, e anche gli stessi autori, possono lasciar cadere studi che sono deludenti. “Se quelli sono dati che hai conservato privatamente, e non ti piacciono i risultati che ne vengono fuori, insomma, non dovrebbe sorprendere che alcuni medici non presentino questi studi”.
http://www.nejm.org/action/cookieAbsent

e ancora:
dubbi sull’ipotesi della serotonina e sulla validità della terapia con un farmaco SSRI

Negli Stati Uniti, gli antidepressivi SSRI ( inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina ) sono pubblicizzati direttamente ai consumatori.

In queste campagne di advertising dirette al pubblico gli antidepressivi SSRI sono presentati com efarmaci in grado di correggere uno squilibrio clinico causato da mancanza di serotonina.

Le campagne pubblicitarie sono state particolarmente intense a tal punto da gonfiare le vendite di questi farmaci.

Zoloft ( Sertralina ), ad esempio, nel 2004 è diventato il sesto farmaco più venduto ed ha generato un fatturato superiore ai 3 miliardi di dollari.

Gli Autori si sono chiesti se le affermazioni fatte nell’advertising degli antidepressivi SSRI fosse congruente con l’evidenza scientifica.

L’ipotesi serotonina

Nel 1965, Joseph Schildkraut aveva ipotizzato che la depressione fosse associata a bassi livelli di norepinefrina.
Successivamente altri ricercatori hanno teorizzato che la serotonina fosse il neurotrasmettitore coinvolto.

Negli anni successivi si è tentato di dimostrare la connessione tra serotonina e depressione, ma senza riuscirci.

Venendo a mancare la prova della deficienza della serotonina nei disturbi mentali, si è sostenuto che l’efficacia dichiarata degli antidepressivi SSRI fosse a sostegno dell’ipotesi della serotonina.

Questo ragionamento è tuttavia debole, secondo gli Autori.
Come se l’efficacia dell’Aspirina in alcune forme di cefalea potesse tradursi nell’affermazione che questi pazienti avessero bassi livelli di acido acetilsalicilico nel cervello.

Dubbi sull’ipotesi della serotonina vengono anche dalle analisi degli studi clinici che hanno valutato i farmaci SSRI.
Il 57% degli studi clinici presentati all’FDA ( Food and Drug Administration ), sponsorizzati dall’industria farmaceutica, ha fallito nel mostrare una differenza statisticamente significativa tra antidepressivi e placebo.
La modesta efficacia dei farmaci SSRI, a differenza di quanto osservato nel diabete con la deficienza di insulina, non appare confermare l’ipotesi della serotonina.

Inoltre, una revisione Cochrane non ha riscontrato particolari differenze tra farmaci SSRI e gli antidepressivi triciclici.
Studi clinici randomizzati hanno mostrato che il Bupropione e la Reboxetina sono efficaci quanto gli SSRI nel trattamento della depressione.
Uno studio clinico ha dimostrato che nei pazienti anziani l’esercizio fisico è efficace quanto la Sertralina, un SSRI.

Sebbene gli SSRI siano considerati farmaci antidepressivi, il loro impiego è stato approvato anche in altri disturbi psichiatrici, dal disturbo d’ansia sociale al disturbo ossessivo-compulsivo e a quello disforico premestruale.

I produttori di due farmaci SSRI, Zoloft e Paxil ( Paroxetina ) hanno promosso l’ipotesi della serotonina, non solo nella depressione ma anche in altre patologie psichiatriche.
E’ molto improbabile che le alterazioni dei livelli di serotonina riescano a spiegare manifestazioni comportamentali così differenti.
Lacasse JR, Leo J, PLoS Med 2006; 2: e392
più chiari di così!!

Sì, sono osservazioni molto

Sì, sono osservazioni molto importanti, a mio parere. In Italia è comparso pochissimo del dibattito che c'è stato invece nei paesi anglosassoni su questi temi. Anche la questione del pericolo suicidio (e omicidio?) aggravato dagli SSRI, tanto che in America hanno messo un black box sulla scatola delle medicine come per le sigarette, in Italia ha avuto, mi pare, molta poca risonanza.Come se la psichiatria italiana fosse tutta adagiata sulle posizioni più retrive della biopsichiatria farmacologica con i suoi conflitti di interesse enormi, o quanto mai timida nel far sentire altre voci. E' vero che anche i media privilegiano le notizie biopsichiatriche.
In questo periodo è il campo dell'infanzia quello più sottoposto a bombardamento propagandistico mediatico, tutto sulle ipotesi genetiche e farmacologiche e con scotomizzazione degli aspetti psicosociali che finora in questo campo erano più rappresentati. E le voci discordanti vengono tacciate per "antipsichiatria" come minimo.
gb

qual'è lo stato delle cose sulla relazione tra serotonina e dep?

L'ipotesi della Serotonina
Nel 1965 Joseph Schildkraut ha portato avanti l'ipotesi che la depressione fosse associata con i bassi livelli di norepinephrine [6], e in seguito i ricercatori hanno teorizzato che il neurotrasmettitore d'interesse fosse la serotonina [7]. Negli anni seguenti vi furono numerosi tentativi di identificare alterazioni neurochimiche riproducibili nel sistema nervoso di pazienti con diagnosi di depressione. Per esempio i ricercatori confrontarono i livelli di metaboilti sella serotonina nei fluidi celebrospinali di pazienti suicidi clinicamente depressi con quelli di un campione di controllo, ma la letteratura iniziale è stata rimescolata e plagiata con difficoltà metodologiche come la dimensione molto piccola dei campioni e per variabili non controllate che non che confondono. In una recente revisione di questi studi il presidente del Consiglio Medico Tedesco, e i suoi colleghi hanno detto “ le associazioni riportate di sottogruppi con comportamenti suicidiari (come tentativi violenti di suicido) con la bassa concentrazione di CSF-5HIAA [serotonina] sembrano rappresentare una qualche traslazione prematura di quello trovato dagli studi che hanno pecche nella metodologia” [8]. Furono anche fatti dei tentativi di indurre la depressione producendo un abbassamento dei livelli della serotonina, ma questi esperimenti non hanno accumulato alcun risultato consistente [9]. Similmente i ricercatori trovarono che un forte incremento di serotonina, a cui si giungeva con la somministrazione di una forte dose di L-tryptophan, erano inefficaci nel diminuire la depressione [10].

Ogni prova fatta dai ricercatori in questa epoca è fallita nel tentare di confermare una lesione serotinergica in un qualsiasi disturbo mentale e anzi hanno fornito prove significative contro la spiegazione di una semplice carenza di un neurotrasmettitore. La moderna neuroscienza ha invece mostrato che il cervello è enormemente complesso e malamente compreso [11]. Anche se le neuroscienze sono un settore in rapido sviluppo, proporre che i ricercatori possano obiettivamente identificare uno “sbilanciamento chimico” a livello molecolare non è compatibile con il livello dell'attuale scienza. In effetti non esiste neppure un livello scientificamente stabilito come ideale per il “bilanciamento chimico”, rendendo pertanto impossibile l'identificazione di un di uno sbilanciamento patologico. Equiparare l'impressionante recente avanzamento delle neuroscienze con l'appoggio dell'ipotesi della serotonina è un errore.

Mancando prove dirette della mancanza di serotonina in ogni disordine mentale, la vanta efficacia dei farmaci SSRI è spesso utilizzata come prova indiretta dell'ipotesi della serotonina. Tuttavia questo è un modo di ragionare ex juvantibus (cioé di ragionare al contrario per fare assunzioni sulle cause della malattia basandosi sulla risposta ai trattamenti della malattia) è problematico dal punto di vista logico. Per esempio il fatto che l'aspirina curi il mal di testa non prova che il mal di testa sia causato da bassi livelli di aspirina nel cervello. I ricercatori nell'ambito della serotonina del US National Institute of Mental Health Laboratory of Clinical Science hanno detto chiaramente “la dimostrata efficacia degli inebitori selettivi della recaptazione della serotonina ... non può essere utilizzata come prova primaria che la disfunzione sia serotinergica nello studio della patofisiologia di questi disturbi” [12].

Pertanto il ragionamento all'indietro e partire dall'efficacia degli SSRI per presumere la carenza di serotonina, è fortemente contestato. La validità di questo ragionamento diventa sempre meno plausibile quando si considerano i recenti studi che arrivano anche a dubitare dell'efficacia dei farmaci SSRI. Irving Kirsch e i suoi colleghi utilizzando il Freedom of Information Act, ha ottenuto l'accesso a tutti i dati dei test clinici sugli antidepressivi inviati alla Food and Drug Administration (FDA) dalle case farmaceutiche per l'approvazione medica. Quando sono stati ottenuti i dati sia delle prove pubblicate sia di quelle non pubblicate si è che il placebo duplicava circa l'80% della risposta dell'antidepressivo [13]; Nel 57% dei casi di questi studi finanziati dalle casi produttrici non si è riusciti a mostrare una differenza statisticamente significativa tra l'antidepressivo e il placebo inerte [14]. Una recente rassegna di Cochrane suggerisce che questi risultati sono gonfiati rispetto a quelli che utilizzano un placebo attivo [15]. Nel caso di trattamenti di altri squilibri ben studiati, come nel caso della carenza dell'insulina, non si nota un efficacia così modesta e un tasso di risposta così estremamente alto del placebo. Questo pone dei seri dubbi sulla validità dell'ipotesi della serotonina.

Risulta anche problematico per l'ipotesi della serotonina il continuo aumento di ricerche che paragonano gli effetti dei farmaci SSRI con quelli di altri trattamenti che non hanno come obbiettivo specifico la serotonina. Per esempio in una rassegna sistematica di Cochrane non ha trovato nessuna differenza significativa tra l'efficacia dei farmaci antidepressivi SSRI e quella dei farmaci antidepressivi triciclici [16]. In oltre, in prove random controllate, il buproprion [17] e la reboxetine [18] si sono mostrate efficaci esattamente come i farmaci SSRI nel trattamento della depressione, anche se non hanno alcun effetto, a un livello significativo, sulla serotonina. Gli effetti ottenuti in recenti studi randomizzati e controllati hanno mostrato che i risultati ottenuti con estratti della pianta iperico [19] e con dei placebi [20] sono superiori di quelli ottenuti con in farmaci SSRI. L'esercizio si è rivelato utile quanto il farmaco SSRI sertraline in uno studio randomizzato controllato [21]. Le ricerche e le attivit6agrave; di sviluppo delle case farmaceutiche mostrano inoltre una diminuzione del ruolo dato all'intervento con serotinonergici. La Eli Lilly, la casa che produce la fluoxetina (Prozac), ha recentemente messo in commercio la duloxetine, un antidepressivo studiato per interagire oltre con la serotonina anche con norepinephrine. Le prove presentate su ciò sembrano incompatibili con una lesione specifica serotinergica nella depressione.

Anche se i farmaci SSRI sono considerati degli "antidepressivi", in realtà sono approvati dalla FDA come terapia per 8 distinte tipi di diagnosi psichiatriche, che variano dai disordini d'ansia sociale al disordine ossessivo compulsivo al disordine disforico premestruale. Alcune pubblicità dirette ai consumatori (come quelle sui siti web dello Zoloft e del Paxil) promuovono l'ipotesi della serotonina non solo per la depressione, ma anche per alcune di queste altre categorie. [22,23]. Pertanto, affinché l'ipotesi della serotonina si corretta come attualmente presentata, la regolazione della serotonina dovrebbe essere la causa (ed il rimedio) di ognuno di questi tipi di disordini [24]. Questa cosa è improbabile e nessuno ha finora proposto una teoria convincente che spieghi come un singola anormalità neurochimica possa produrre un così vasto numero di manifestazioni nel comportamento.

In breve, non esiste una prova rigorosa a favore della la teoria della serotonina ed invece presente un significativo gruppo di prove contraddittorie. Lontano da essere una linea radicale di pensiero, i dubbi sulla ipotesi della serotonina sono ben riconosciuti da molti ricercatori, compreso alcune discorsi schietti da parte di alcuni famosi psichiatri, alcuni dei quali sono anche degli entusiastici proponenti della medicalizzazione con farmaci SSRI (vedi Tabella 1).

Tuttavia, in aggiunta a quello che questi autori hanno detto a proposito della serotonina, è anche importante guardare a cosa la serotonina non è detto nella letteratura scientifica. A quanto ne sappiamo non vi è neanche un singolo articolo sottoposto a peer-reviewed che possa essere accuratamente citato a sostegno delle affermazioni secondo cui ci sia una carenza di serotonina in un qualsiasi disordine mentale, mentre ci sono parecchi articoli che presentano prove dell'opposto. Inoltre il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), che è pubblicato dalla American Psychiatric Association e che contiene le definizioni di tutte le diagnosi psichiatriche, non elenca la serotonina come causa di alcun disturbo mentale. Il libro di testo della psichiatria clinica (American Psychiatric Press Textbook of Clinical Psychiatry) si riferisce all'ipotesi della carenza della serotonina come ad un'ipotesi non confermata, affermando che “ulteriori prove non hanno confermato l'ipotesi dell'abbassamento delle monoammine” [25].

Riferimenti:
1.Mintzes B (2002) For and against: Direct to consumer advertising is medicalising normal human experience: For. BMJ 324: 908–909. Find this article online
2.International Marketing Services Health (2004) Year-end U.S. Prescription and sales information and commentary. Fairfield. (Connecticut): International Marketing Services Health Available: http:// www.imshealth.com/ims/portal/front/articleC/0,2777,6599_3665_69890098,00.... Accessed 14 October 2005.
3.Donohue J, Berndt E (2004) Effects of direct-to-consumer advertising on medication choice: The case of antidepressants. J Pub Pol Marketing 23: 115–127. Find this article online
4.United Kingdom Parliament (2005) House of Commons health report. London: United Kingdom House of Commons. Accessed 14 October 2005.
5.Pfizer (2004 March) Zoloft advertisement. Burbank (California): NBC.
6.Schildkraut JJ (1965) The catecholamine hypothesis of affective disorders: A review of supporting evidence. J Neuropsychiatry Clin Neurosci 7: 524–533. Find this article online
7.Coppen A (1967) The biochemistry of affective disorders. Br J Psychiatry 113: 1237–1264. Find this article online
8.Roggenbach J, Müller-Oerlinghausen B, Franke L (2002) Suicidality, impulsivity, and aggression-Is there a link to 5HIAA concentration in the cerebrospinal fluid? Psychiatry Res 113: 193–206. Find this article online
9.Heninger G, Delgado P, Charney D (1996) The revised monoamine theory of depression: A modulatory role for monoamines, based on new findings from monoamine depletion experiments in humans. Pharmacopsychiatry 29: 2–11. Find this article online
10.Mendels J, Stinnett J, Burns D, Frazer A (1975) Amine precursors and depression. Arch Gen Psychiatry 32: 22–30. Find this article online
11.Horgan J (1999) The undiscovered mind: How the human brain defies replication, medication, and explanation. New York: Free Press. 336 p.
12.Murphy DL, Andrews AM, Wichems CH, Li Q, Tohda M, et al. (1998) Brain serotonin neurotransmission: An overview and update with emphasis on serotonin subsystem heterogeneity, multiple receptors, interactions with other neurotransmitter systems, and consequent implications for understanding the actions of serotonergic drugs. J Clin Psychiatry 59: 4–12. Find this article online
13.Kirsch I, Moore TJ, Scoboria A, Nicholls SS (2002) The emperor's new drugs: An analysis of antidepressant medication data submitted to the U.S. Food and Drug Administration. Prev Treat 5. article 23. Available: http://www.apa.org/pubs/journals/index.aspx . Accessed 14 October 2005.
14.Kirsch I, Scoboria A, Moore TJ (2002) Antidepressants and placebos: Secrets, revelations, and unanswered questions. Prev Treat 5. article 33. Available: http:// journals.apa.org/prevention/volume5/pre0050033r.html. Accessed 14 October 2005.
15.Moncrieff J, Wessely S, Hardy R (2005) Active placebos versus antidepressant for depression. Cochrane Database Syst Rev 2004: CD003012. Find this article online
16.Geddes J, Freemantle N, Mason J, Eccles M, Boynton J (2005) Selective serotonin reuptake inhibitors (SSRIs) versus other antidepressants for depression. Cochrane Database Syst Rev 2000: CD002791. Find this article online
17.Karvoussi R, Segraves R, Hughes A, Ascher J, Johnston J (1997) Double-blind comparison of bupropion sustained release and sertraline in depressed outpatients. J Clin Psychiatry 12: 532–537. Find this article online
18.Schatzberg A (2000) Clinical efficacy of reboxetine in major depression. J Clin Psychiatry 61. Suppl 10 31–38. Find this article online
19.Szegedi A, Kohnen R, Dienel A, Kieser M (2005) Acute treatment of moderate to severe depression with hypericum extract WS 5570 (St John's wort): Randomised controlled double-blind non-inferiority trial versus paroxetine. BMJ 330: 503. Find this article online
20.Hypericum Depression Trial Study Group (2002) Effect of Hypericum perforatum (St John's wort) in major depressive disorder: A randomized controlled trial. JAMA 287: 1807–1814. Find this article online
21.Blumenthal J, Babyak M, Moore K, Craighead W, Herman S, et al. (1999) Effects of exercise training on older patients with major depression. Arch Intern Med 159: 2349–2356. Find this article online
22.GlaxoSmithKline (2005) What does Paxil treat. London: GlaxoSmithKline. Accessed 2005 14 October 2005.
23.Pfizer (2002) Zoloft for PMDD. Cambridge (Massachusetts): Pfizer. Available: . Accessed 14 October 2005.
24.Healy D (2002) The creation of psychopharmacology. Cambridge: Harvard University. 313 p.
25.Dubvosky S, Davies R, Dubvosky A, (2003) Mood disorders. In: Hales R, Yudofsky S, editors. The American psychiatric textbook of clinical psychiatry, 4th ed. Washington (D.C.): American Psychiatric Press. pp 439–542.
Fonte: www.nopsych.it

citazione:
Alcuni hanno pensato di poter concludere che la depressione possa essere dovuta ad una carenza di norepinephrine o di serotonina perché un aumento della neurotrasmissione di noradronergici o serotinergici aumenta i sintomi della depressione. Tuttavia questa cosa è dello stesso tipo che dire che siccome un'infiammazione su un braccio migliora con l'uso di una crema steroidea, l'infiammazione deve essere dovuto a una mancanza di steroidi
Psichiatri Pedro Delgado e Francisco Moreno, in "Role of Norepinephrine in Depression", pubblicato nel Journal of Clinical Psychiatry nel 2000

Verrebbe da dire che tutto lo

Verrebbe da dire che tutto lo sforzo messo in atto in questi due decenni per convalidare l'ipotesi biomedica della depressione, cioè come malattia determinata da fattori esclusivamente organici, non ha prodotto alcuna prova convincente. A maggior ragione l'estensione delle ipotesi biochimiche ad altri disturbi, molto 'propagandati in questi anni nella nuova terminologia, il Disturbo di Attacchi di Panico", il Disturbo Ossessivo Compulsivo, (prima si parlava di nevrosi, o sindromi, fobiche, ossessive, ecc) per non parlare delle varianti della Depressione, sono basate su affermazioni quanto meno manipolate e prive di 'Evidenza' scientifica. Viene il dubbio che stiamo assistendo, come già nell'economia, a una specie di 'Bolla' psichiatrica, che potrebbe 'esplodere' da un momento all'altro come una bolla di sapone? Qualcosa cresciuto a dismisura senza alcuna base reale (se non quella economica del business...)?

Vogliamo credere che è tutta

Vogliamo credere che è tutta una bufala?

Sui "dati scientifici" penso che sia proprio così. Sull'uso degli antidepressivi come sintomatici nei casi gravi, sembra che il confronto con il placebo mostri qualche differenza di funzionamento, ma appunto spesso funzionano anche i placebo. Qualcosa vorrà dire. Ho in biblioteca un libro della Boringhieri (tradotto) che mi pare si intitoli Psicofarmaci, problemi e prospettive, che diceva queste cose almeno vent'anni fa.
Di industrie che manipolano i dati e di "scienziati" che si fanno corrompere" come possiamo fidarci e prendere le loro informazioni per buone?
In effetti in 36 anni di esperienza in psichiatria infantile solo raramente ho dovuto usare farmaci sedativi in gravi crisi psicotiche, qualche volta stabilizzanti in situazioni maniacali in adolescenza, ma mai antidepressivi di alcun tipo. Tutti i sintomi di depressione nei bambini e negli adolescenti sono in rapporto con le esperienze ambientali e modificabili con interventi psicosociali.

a volte i farmaci cronicizzano il problema

ciò che emerge spesso quando si prescrivono antidepressivi, e sottostimato dallo psichiatra organicista, è il vissuto negativo del paziente verso il farmaco ed i suoi effetti.
Qunado un paziente assume un farmaco antidepressivo è colto dai fisiologici effetti collaterali (aumento dell'ansia, disturbi fisici e neurologici) prima di ottenere il presunto miglioramento che avviene (secondo letteratura) dopo tre, quattro settimane dall'assunzione. Sotto l'aspetto clnico tuttavia ciò avviene raramente, i sintomi collaterali non smettono e i miglioramenti tardano ad arrivare. Nel frattempo, la maggior parte dei pazienti non riesce a tollerare tale stato e si rivolge ancora allo psichiatra per un rimaneggiamento farmacologico. In questo caso ci si trova di fronte due possibili vie, lo psichiatra li rassicura e dice loro di avere pazienza, oppure collude e cambia farmaci. Nel primo caso il paziente continua a non tollerare il suo vissuto negativo verso le reazioni al farmaco e tenderà a rivcolgersi ad un altro medico, il quale rivaluta le prescrizioni e modifica il farmaco. In un modo o nell'altro, come è noto, il rimaneggiamento dei farmaci, che implica il ricominciare tutto nuovamente, crea nuovi sintomi collaterali e con l'iter che si ripete. Sempre che per disperazione il paziente non smetta spontaneamente e bruscamente l'assunzione rischiando sintomi da astinenza. Ecco, in tutti i casi, SCATTA LA TRAPPOLA DELLA CRONICIZZAZIONE del problema e, spesso, il peggioramento dei sintomi. Non si vuole mettere in dubbio la competenza del medico ma è il farmaco che, in virtù dei suoi "effetti" induce ad atteggiamenti che ne favoriscono la cronicizzazione e/o il peggioramento sintomatico.

Condivido le tue

Condivido le tue considerazioni sugli antidepressivi, ma non ne ho informazioni precise perchè faccio in prevalenza il npi e vedo adulti solo come psicoterapeuta. Ho fatto il consulente psichiatra in ospedale per alcuni anni per le consulenze richieste ai pazienti ricoverati in reparti diversi, ma non ho praticamente mai prescritto SSRI o altri psicofarmaci, se non per situazioni di urgenza, o in qualche rarissimo caso sotto una pressione istituzionale fortissima. Ho cambiato lavoro appena possibile
Credo che il rapporto psichiatra paziente sia profondamente cambiato in questi due decenni. Mi dicevano che in qualche sede universitaria gli specializzandi raccoglievano dati anamnestici e facevano le check list sintomatiche, poi il Prof o chi per lui passava e faceva la diagnosi e la prescrizione dei farmaci senza praticamente vedere il paziente, o solo per un minuto. Il tutto per varie centinaia di euro a visita. Bisognerebbe chiederlo a chi ha studiato in questi posti.
Difficile fare confronti fra epoche diverse, ma sembra che l'avvento dei farmaci psicoattivi (oltre che una netta avversione a quanto sapeva di 'psicoanalitico'), oltre a cambiare il rapporto medico/paziente abbia portato in effetti a una cronicizzazione delle patologie, e a una netta dipendenza dei pazienti dal farmaco, ovviamente, e a un cambiamento dei quadri clinici prevalenti, non è chiaro se in meglio.
Il link su psichiatria critica dovrebbe dare vari spunti, credo

è la molecola la vera responsabile della sua cattiva gestione!!

E' proprio lavorando come psicoterapeuta con adulti che osservo queste modalità comportamentali tendenti alla cronicizzazione. I pazienti hanno un atteggiamento sovrapponibile assunzione di farmaci (prescritti ovviamente) insoddisfazione e vissuto negativo verso gli effetti collaterali- ritorno dal medico (lo stesso o un altro)- rimaneggiamento farmacologico o eliminazione arbitraria (con relativi sintomi di rimbalzo) aggravamento dei sintomi e interferenza sul lavoro psicoterapico.
Stranamente tutto ciò non accade quando la psicoterapia non è affiancata dai farmaci ed ottiene i migliori risultati.
I cosiddetti miglioramenti sintomatici che si otterrebbero con i farmaci permettendo quindi una miglior adesione del paziente alla psicoterapia sembrano solo un'astrazione teorica che non accade nella realtà clinica dove avviene proprio il contrario.
Non si può ovviamente colpevolizzare nessuno della cattiva gestione dell'assunzione del farmaco nè paziente nè psichiatra ma tale reazione è intrinseca all'assunzione della molecola l'unica responsabile di certe reazioni!

E' mia impressione che ancora

E' mia impressione che ancora parte prevalente dell'effetto terapeutico sia la fiducia del paziente verso il medico, psichiatra in questo caso. Se il paziente ha una grande fiducia in quello psichiatra, o perchè quel medico cura bene il rapporto medico paziente, o per fama mediatica, ecc. spesso la cura ha un buon successo. In questi casi come distinguere se l'effetto è placebo o farmacologico?
Una difficoltà che trovo a volte con pazienti adulti che mi contattano direttamente come psichiatra è che la loro aspettativa è di avere uno o più farmaci, oltre ai colloqui, e a volte la pressione esterna (conoscenti, medico curante, giornali, ecc) fa interrompere o non avviare la psicoterapia. Io preferisco che eventualmente i farmaci siano gestiti da un altro, e non prescriverli io stesso a un paziente in psicoterapia. Molti colleghi invece lo fanno e abbiamo avuto varie discussioni, in passato, ad esempio su Psychomedia, restando ognuno della propria opinione.

farmaci VS psicoterapia

(..)Io preferisco che eventualmente i farmaci siano gestiti da un altro (..)

sarebbe opportuno se i prescrittori di farmaci avessero rispetto verso il lavoro psicoterapico. sai quanti pazienti non tornano in psicoterapia solo perchè lo psichiatra di turno ne ha messo in dubbio la sua validità?
e poi si permettono di accusare chi nega l'efficacia dei farmaci di terrorismo psicologico e scarsa deontologia. Ma come, la psicoterapia si può denigrare e i farmaci no? dove sta la differenza? soprattutto dopo gli studi che evidenziano davvero la scarsa consistenza degli antidepressivi?. A questo punto non si tratta più di battaglia scientifica ma di corsa ad accaparrarsi il paziente e il timore di rimanere (chi usa solo farmaci) senza armi contro la sofferenza. NON importa che le armi funzionino bene o che facciano centro, l'importante è sparare e fare rumore!!!!

Certo, è difficile intendersi

Certo, è difficile intendersi fra psichiatri prescrittori dei farmaci e psicoterapeuti. - o per lo meno poco frequente: qualche volta mi capita, con colleghi psichiatri che però hanno una formazione psicoanalitica - Se c'è una conoscenza e un rispetto reciproci il paziente ne ha tutto da guadagnare. Gli psichiatri specializzati recentemente, con formazione esclusivamente bio-farmacologica, sono ovviamente totalmente chiusi su questo versante, con l'eccezione della psicoterapia cognitivo-comportamentale, che da un decennio è ampiamente raccomandata dai più accesi psichiatri organicisti. Il sospetto è di un'alleanza strategica con interessi condivisi. A me pare anche paradossale: se c'è un'indicazione a un intervento psicologico, quale che sia, vuol dire che si riconosce che ci sono aspetti psicologici su cui si può intervenire. Allora, si ammette che ci sono fattori psicologici che possono essere in causa, e salta tutta la costruzione esclusiva biologica genetica biochimica. Si riconosce l'esistenza di fattori psicologici, e di una possibilità di intervento con strumenti psicologici. Quali questi siano diventa a questo punto ampiamente discutibile, una volta che il muro antipsicologico è abbattuto...

(..) me pare anche

(..) me pare anche paradossale: se c'è un'indicazione a un intervento psicologico, quale che sia, vuol dire che si riconosce che ci sono aspetti psicologici su cui si può intervenire (..)

non è paradossale se si entra nel merito di tali affermazioni. Secondo i loro sostenitori ogni processo psicologico si incarna in un processo biologico (sicuramente innegabile) quindi ogni intervento psicoterapico è un intervento biologico.
ma il paradosso (o l'assurdità) sta nel considerare che quello comportamentale sia più biologico di quello psicodinamico o relazionale.
Senza considerare i significati che un soggetto attribuisce alle esperienze, alle relazioni e alla sofferenza. etichettando quest'ultimi come sciocchezze psicosociali.

Appunto: il succo è che

Appunto: il succo è che interventi psicologici possono avere effetto su nodi psicologici e conseguenti comportamenti. Con buona pace dei correlati biologici variamente documentati, (immagini RMN, SPECT, PET, ecc) non si sa se come causa o come effetto...
L'esempio più evidente secondo me del paradosso organico/psichico è in una malattia metabolica infantile, di cui ho visto alcuni casi anni fa. Nella sindrome di Lesch-Nyhan, dovuta a un difetto del metabolismo degli acidi nucleici, accanto a quelli neurologici il sintomo più eclatante e angosciante è la tendenza del bambino a mordersi le parti del corpo dove può arrivare con la bocca fino ad automutilarsi labbra dita ecc . Per evitarlo si arriva a estrarre i denti del bambino per evitare lesioni drammatiche: labbra strappate, falangi amputate, ecc.. O a legarlo letteralmente, e il bambino prova sollievo ad essere legato. Viene descritto anche qualche intervento psicologico che sembra aver avuto un discreto successo. Non ho conoscenze più recenti. Magari mi aggiornerò.
L'autoaggressione in questi casi era considerata sicuramente di origine biologica- tutti i bambini con la mancanza dell'enzima responsabile della sindrome hanno lo stesso comportamento, mentre altri bambini con quadri neurologici simili ma senza la carenza enzimatica in questione non ce l'hanno. A suo tempo si era parlato, da qualche parte, di manifestazione clinica dell' "istinto di morte" che aveva preconizzato Freud, come fondamento biologico della distruttività e del male.
PS magari apriamo un nuovo thread visto che questo si sta assottigliando in modo preoccupante...

un link per Lesh-Nyhan

l'uovo o la gallina?

l'alterazione biochimica induce a comportarsi in un certo modo? sicuro, ma accade anche il contrario? certo. un esempio è l'esperimento sull'acquisizione del comportamento depressivo (impotenza appresa) dei cani di Seligman, cani sottoposti a condizioni ambientali particolari hanno acquisito comportamenti simil depressi e ai quali è stata rilevata una deplezione della noradrenalina.
Rsultati sperimentali simili a livello comportamentale sono stati ottenuti con gli uomini.

prima l'uovo( la malattia biochimica) o la gallina (la manifestazione comportamentale)?

be questo esperimento farebbe pensare "prima la gallina"

ti ho risposto nell'altro

ti ho risposto nell'altro 3d...

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