Una famiglia in ginocchio

Egregi Dottori,
cercherò di essere breve, anche se non sarà facile.
Si tratta di mio fratello, di 50 anni.
E’ sempre stato "problematico", in cura da quando ho memoria.
Ma la situazione era abbastanza gestibile, fra alti e bassi, fino a poco tempo fa.
Aveva i suoi piccoli grandi interessi, il suo lavoro, che lo faceva spesso recriminare, ma anche a volte inorgoglire, un suo particolare senso dell’umorismo, un attaccamento sincero e fiducioso nella sua famiglia, tanto amore per la piccola nipotina….
Da qualche mese invece le cose sono cambiate: non si dà tregua e non ne dà conseguentemente nemmeno a noi di famiglia.
Pessimismo, manie di persecuzione, incapacità di tenersi uno psichiatra per più di un mese consecutivo (le stesse identiche caratteristiche che gli fanno stimare un professionista sono le medesime che glielo fanno scartare pochi giorni dopo…), ruminazioni CONTINUE su tutto, su episodi (spesso assolutamente insignificanti) successi anni e anni fa, su personaggi totalmente marginali incrociati per sbaglio decenni fa, e su situazioni BANALI che gli capitano nel quotidiano (vede una sfida, una provocazione personale in un collega che gli dice – per sua stessa ammissione bonariamente - “prendi l’ascensore per salire un piano solo?” e ci rimugina per giorni, per dirne una…).
Il suo problema principale pareva essere, fino a due anni fa, la mancanza di una compagna; sembrava che quando ne avesse avuta una, tutto sarebbe andato un po’ nei giusti binari.
Anche se a momenti penso che avere una donna accanto sia per lui motivo di fortissimo stress (non è la prima volta che peggiora durante una relazione, anche se questa attuale è la più lunga che ha avuto ed è l’unica sfociata in una convivenza…), ma è un “cane che si morde la coda”: quando non ha una donna lui vive esclusivamente per trovarne una, chiunque sia e con qualsiasi mezzo, convinto fra l’altro che sia uno “status symbol” essere accompagnati e non single…
Adesso che, come dicevo, una compagna la ha (non so ancora per quanto: vi assicuro che è impossibile convivere con una persona simile…), tutti i suoi problemi sembrano scaturire dal lavoro.
(lavoro, per inciso, OGGETTIVAMENTE tranquillo e non stressante, da ogni punto di vista…)

Un rimprovero lavorativo secondo lui ingiusto (ma che non ha mai voluto chiarire, come fa in tutte le circostanze: si fa una opinione e non si confronta con l’interlocutore) subìto lo scorso mese di ottobre ha rotto ogni equilibrio: odia il suo lavoro, odia le persone che vi gravitano attorno, secondo lui tutti lo provocano, tutti lo comandano a bacchetta…un incarico semplicissimo (ai livelli di fare una fotocopia) gli scatena un’ansia da cui difficilmente si riprende…
Passa il fine settimana disperato, con la testa fra le mani, pensando che il lunedì deve tornare al lavoro (il medico di base gli ha proposto qualche giorno di malattia per staccare, lui ha più volte acconsentito, salvo poi non usufruirne mai, cambiando idea all’ultimo momento).

Periodicamente, sempre da ottobre scorso, se la prende con qualcuno in particolare: tempo fa disconobbe l’altro mio fratello perché a parer suo ha avuto negli anni atteggiamenti violenti nei suoi confronti (motivazione tirata fuori all’improvviso, senza che nessuno avesse mai avuto sentore di nulla nei decenni), poi se la è presa con la compagna (che, per inciso, lava, stira, lo asseconda per quel che può, non chiede nessun tornaconto per lei, lo ospita a casa sua, ecc…) perché nell’unico momento di bisogno (il papà doveva subire un intervento), ha OSATO dirgli “capiscimi”…e lui da allora si è rifiutato di accompagnarla all’ospedale, anche nel fine settimana, per poter starsene “beato” (si fa per dire: rimuginando) in panciolle sul divano.
La abbiamo accompagnata noi di famiglia, “tamponando” come sempre la situazione in vece sua, per qualche giorno, poi ci ha impedito di farlo (“sennò lei, se ci vede troppo disponibili, ci dà per scontati”), salvo poi cambiare idea e chiederci di portarcela…
L’ultima è che è in freddo con mia mamma (l’ho intuito io….non si confida più tanto su certi aspetti, adesso…), perché domenica scorsa si è permessa di dirgli, nella sua ignoranza in materia psichiatrica, nel suo enorme amore di mamma, vedendolo piangere disperato “in fondo non ti manca nulla, tirati su…” (secondo lui offensivo come dire ad un paraplegico di correre la 100 mt ostacoli) e poi perché mia mamma anni fa ci rimase male perché lui ha dato il suo 8 per mille allo Stato e non alla Chiesa Cattolica; per capirsi, questo episodio gli è tornato in mente, con conseguente parziale allontanamento da mia mamma, perché ha visto un sacerdote (SUO GRANDE AMICO!!!!) attendere un taxi, anzichè l’autobus, mezzo più consono, secondo mio fratello.
Questo lo ha fatto riflettere su come la Chiesa impiega i suoi averi e gli ha fatto riemergere quell’episodio della denuncia dei redditi di tanti anni fa con conseguente messa in discussione di mia mamma in quanto tale.
Da notare che con mia mamma (la donna più materna, empatica, dolce, positiva, altruista, allegra del mondo) ha un rapporto quasi simbiotico e di Amore puro: fino a due anni fa, quando viveva ancora con lei, tutte le sere la chiamava per farsi tenere la mano e parlare prima di dormire, per capirsi…ed adesso…
(ho fatto qualche esempio recente a casaccio....)

E’ sempre stato discontinuo in tutto, ma ultimamente ha smesso qualsiasi tipo di attività lo distraesse…
Mi sembra che abbia proprio bisogno di cercare qualcosa che gli provochi ansia.
Se non trova nulla di concreto (credetemi, ha una vita liscia che più liscia non si potrebbe, totalmente priva di scossoni di qualsiasi genere un po’ per come è impostata, ed un po’ perchè gli vengono evitate ansie anche minime…), allora si va a cercare “con il lumicino” qualcosa per provare rabbia, rancore, ansia…

Mi scuso per la prolissità (come potrete sicuramente immaginare, potrei scrivere ore su questa faccenda).
Vengo alle domande che vorrei porre.

L’ultima diagnosi che gli è stata fatta è Disturbo di Ansia Generalizzata.
Mi sono un po’ informata, e pare che una cura ad hoc per questo tipo di disturbo sia quella farmacologica unita ad una psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Siete in linea di massima d’accordo?
(al momento assume benzodiazepine e Lyrica oltre a non so cosa altro, in dosi abbastanza basse…)
Come faccio a "convincerlo" a intraprendere un percorso ed a perseguirlo per un po'?

Un’altra cosa, che riguarda me: sono sempre stata una persona positiva, gioiosa, ottimista, quasi “arrogante” nel mio sentirmi bene e bastare a me stessa…provavo felicità, quella vera, in piccole cose: un caffè in solitaria la mattina presto, una giornata di primavera….ero molto, molto curata nell’aspetto e sempre sorridente e grata alla vita, specialmente negli ultimi 3 anni, consapevole di stare vivendo un periodo irripetibile (i miei genitori, anche se molto anziani, sono ancora vivi, mi è nata una bambina a lungo desiderata, ho un lavoro tranquillo, una piccola casetta tutta mia..)…
Da quando mio fratello è peggiorato, non mi riconosco più: i suoi continui martellamenti di negatività (mi chiama in con-ti-nua-zio-ne, mi scrive sms, decine di mails al giorno, si sfoga per ogni dettaglio della sua vita…) alla fine mi pare stiano avendo la meglio (effettivamente mi chiedevo quasi stupita quanta “scorta” di positività io avessi, per essere sempre graniticamente allegra nonostante lui…): non ho più interesse in nulla, sono deconcentrata al lavoro ed alla guida dell’auto, non rido più, non mi curo più e infatti mi vedo tanto brutta, vivo nell’angoscia che lui faccia qualche stupidaggine da un momento all’altro, mi sento in colpa nei confronti dei miei genitori perché vorrei proteggerli in questi ultimi anni che restano loro, non dormo più, mi sveglio diverse volte nella notte pensando a questa situazione, spesso mi gira la testa ed ho barcollamenti, ho le palpitazini quando vedo arrivare una sua telefonata e ne ho anche nei brevissimi lassi di tempo in cui il telefono non squilla, perchè mi domando cosa sia successo e perchè non chiami...
Non è giusto.
Per me, per la mia bimba piccola, che ha diritto ad una mamma sorridente…
E’ opportuno che anche io intraprenda una qualche terapia, secondo voi?
E (in alternativa alla eventuale terapia?) è giusto che, dopo 20 anni di dedizione totale e quotidiana a lui, visto che i miei consigli, i miei pareri, il mio punto di vista, un tempo preso da lui in grande considerazione (anche se quasi mai applicato nei fatti), oggi non viene neppure ascoltato e quasi lo infastidisce (spesso è violento verbalmente se non lo assecondo in quel che dice), è opportuno che io mi allontani, che gli intimi di non cercarmi più, che viva la mia vita prima che lui la fagociti del tutto?
Almeno finchè lui non intraprende un serio ed articolato percorso di cura portandolo avanti per un tempo ragionevole, cosa che gli vado suggerendo da tempo.
Come faccio in quel caso a mettere a tacere i sensi di colpa?
Ho un marito che sa poco e nulla di tutto ciò, ed io sono stata una abilissima equilibrista fino ad oggi, a fare trasparire il meno possibile, ma sento che ora non ce la faccio più.
Posso cercare di difenderlo da tutto, ma non da se stesso...e se lui per primo non vuole star meglio, il rischio è che mi ammali io (se già non mi sono ammalata)...a momenti penso che la sua sia una sfida: vuole vedermi al manicomio....ma poi mi rendo conto che il suo atteggiamento è parte della patologia e che le sue sono richieste di aiuto, anche se sotto forma di arrogante ed egoistica irruzione nella mia esistenza...e lì ripartono i sensi di colpa...

Inoltre: a vostro parere, facciamo bene noi in famiglia ad assecondarlo in TUTTO?
Cambia idea continuamente su qualsiasi cosa (periodicamente cambia le carte in tavola su ogni argomento, anche consolidato e già prenotato: medici, banca, vacanze, appuntamenti di qualsiasi tipo, ecc..) e chi disdice, chi prenota nuovamente, chi va ad informarsi, chi si sbatte per la varia burocrazia (dal fondo pensione alla riscossione degli affitti di una casetta che lui possiede, alla manutenzione della stessa, all’acquisto dei regali di Natale per la sua compagna… ecc) è mio padre 85enne, oppure io.
Mi pare che più il tempo passa, più tutto ciò venga da mio fratello dato per scontato: fa quasi le bizze isteriche come un bambino piccolo se qualcuno osa contraddirlo o fargli notare che potrebbe sbrigarsela da solo, almeno per le piccole cose…
Dovremmo responsabilizzarlo di più?
Non è forse anche parte della terapia l’evitare il più possibile la noia, il vuoto di incarichi e incombenze?
Il non aver nulla, nulla, nulla da fare non alimenta forse le ruminazioni?
Ieri è arrivato a dire che chiunque abbia una brutta opinione di lui per qualsiasi motivo (nella fattispecie si parlava – rectius: parlava, lui..i suoi sono spesso monologhi – di persone “rompipalle”), semplicemente…sbaglia: si sta sempre più chiudendo in un mondo di convinzioni sue personali (guai a confutargliele!!!) dove il confronto con l’esterno è concepito quasi esclusivamente come portatore di qualche fastidio….
Non oso immaginare che sarà di lui, e di me dopo l’inevitabile momento della scomparsa dei miei..

Sono consapevole che via mail non c'è la possibilità di esporsi più di tanto, e chiedo veramente scusa per la prolissità dell’esposizione, ma davvero non so che pesci prendere…a momenti penso che se non ci fossero più i miei genitori me ne andrei all’estero (a far cosa????? Boh…), per lasciarmi lontano, alle spalle, tutta questa sofferenza inutile….

Grazie infinite per avermi letta fin qui.

Se non fosse riportata l'età

Se non fosse riportata l'età all'inizio uno direbbe di sentir parlare di un bambino molto 'viziato', abituato ad essere servito e riverito in famiglia e ad avere tutto quello che vuole, che non è 'cresciuto' e che ovviamente non ha imparato ad adattarsi al mondo esterno, ma continua a pretendere di avere e fare come è stato abituato.
Da adulto potrà avere svariate diagnosi, ma l'essenziale mi sembra è che continua a fare il bambino viziato, come anche Lei si rende conto, e a creare una quantità di complicazioni a se stesso e a chi gli è intorno.
Anche Lei sembra rimasta irretita nella situazione, diventando come la 'mamma sostitutiva' e facendo come ha visto sempre fare ai suoi genitori.
Quando vengono portati dei bambini così, di solito si cerca di convincere i genitori a mettere limiti e regole e non farsi tiranneggiare, e 'resistere' alle provocazioni e scenate possibili di tutti i tipi. Che fare con un bambino che è cresciuto per certi versi e per altri no, e non ha mai avuto limiti e regole e impedimenti a tiranneggiare su tutti i familiari? Credo che la raccomandazione sia la stessa: mettere chiari limiti, non lasciarsi invadere, non colludere con le sue abitudini continuando a incentivarle, non farsi tiranneggiare e resistere a scene isteriche e ricatti e sensi di colpa e quant'altro, non sostituirsi a lui nei suoi compiti e nelle sue responsabilità. Solo mettendo una certa distanza e regole e limiti saldi si può in effetti aiutare una persona così. I suoi genitori potranno cambiare poco, ma la consiglio vivamente di cambuiare atteggiamento Lei, per non farsi travolgere, oltretutto inutilmente.
Cordialmente
drGBenedetti

Precisazione e richiesta pereri

Egregio Dottore,
grazie infinite per la sua cortese e sollecita risposta.
Ha perfettamente ragione e lo so bene, ma non è sempre semplice "tirare giù una saracinesca" di fronte ad una persona sofferente che ami tantissimo e soprattutto di fronte ai tuoi sensi di colpa...
Riguardo al suo essere viziato, c'è da dire che nella sua infanzia/adolescenza, prima che si verificassero i primi disturbi, ha ricevuto una educazione assai rigida, quasi "militaresca".
L'errore dei miei genitori è stato probabilmente passare da ciò all'esatto opposto quando si sono accorti che il ragazzo era talmente sensibile che stava sviluppando una qualche patologia psichica.
E' passato da una situazione in cui non gli veniva fatto passare liscio nulla ad una in cui viene giustificato per qualsiasi cosa richieda, anzi, viene talmente iperprotetto che le sue esigenze vengono spesso anticipate nella loro risoluzione rispetto alla loro manifestazione.

Secondo lei una terapia cognitivo - comportamentale, affiancata da una terapia farmacologica, farebbe al caso di mio fratello (sempre che si decida a farsi aiutare seriamente e con continuità)?

Inoltre, ravvisa per me l'esigenza di un consulto di supporto in questo momento in cui mi sento per la prima volta davvero vacillare?
Oppure probabilmente se mi decido a “mettere i paletti” che lei suggerisce oltre a smetterla di pensare a “come faremo un domani” (quando dovremo affrontare il lutto, la gestione di interessi comuni e quant’altro..) o aspettarmi scenari apocalittici da un secondo all’atro, ovvero se la smetto di “fasciarmi la testa prima di rompermela”, posso riappropriarmi già solo così della mia vita?

Dai pochi dati che le ho fornito, è plausibile che sia veritiera l'impressione che qualche volta ho, ovvero (mi perdoni i termini non adatti: sono profana della materia) che mio fratello stia veramente male (l'ho visto piangere in un luogo pubblico e vergognarsi di farlo...ed anzi credo che quella scena sia stata per me la "goccia": è da allora che sto male anche io...), abbia un reale malessere che gli impedisce di avere uno scudo anche minimo per qualsiasi semplice vicenda quotidiana, che veramente non riesca a gestire i rapporti interpersonali, ancorchè improntati alla banale convivenza civile, che davvero abbia un pregresso di rabbia inespressa tale da non riuscire davvero, fattivamente, a godere MAI del "qui e adesso", ecc ecc....
MA ….che al contempo, un po' ...."ci marci"?
Ovvero che si "approfitti", in modo più o meno conscio, di essere la "parte debole" e indifesa (anche se quando vuole, seppur con i metodi e la tempistica sbagliata, sa fare, eccome, la voce grossa) e che questo suo "crogiolarsi" nella situazione sia in parte la molla che gli manca per sforzarsi, realmente, di cercare di star meglio?

Grazie ancora, davvero.

Difficile, se non

Difficile, se non impossibile, dare indicazioni specifiche a distanza e per una terza persona...
Quanto alle terapia, per molti è più importante la persona che le dà o le fa, cioè il rapporto terapeutico, che non il tipo di terapia in sè: persino con i farmaci è riconosciuto che l'effetto 'placebo' (cioè psicologico) gioca spesso una notevole importanza.

Probabilmente, visto l'intricazione di aspetti familiari e 'giochi' relazionali, quasi come una scena pirandelliana, potrebbe essere indicata una consultazione a livello di terapia familiare.

Cordialmente
drGBenedetti

Grazie

Dottore, la ringrazio della sua gentile disponibilità.
Devo cercare di tagliare il cordone ombelicale che mi fa essere dal punto di vista dell'umore to-tal-men-te dipendente dai roller coaster mentali di mio fratello.
E se non ci riuscirò da sola, vedrò di farmi aiutare, anche se mi spaventa molto la possibile durata di certi tipi di trattamento.
Per quanto riguarda lui, ha dei suggerimenti da darmi per convincerlo a fidarsi di uno specialista che lo aiuti a scardinare questo suo atteggiamento verso l'esterno, che lo indirizzi verso una sensibilità meno accentuata, che gli dia gli strumenti per dare il giusto peso alle vicende quotidiane, che gli fornisca i mezzi ed i metodi per farsi un minimo di "anticorpi" e per ricercare una sua indipendenza emotiva?
Capisco benissimo che la spinta a star meglio, a prendere consapevolezza che ha bisogno di aiuto, che c'è qualcosa di "inceppato" nel suo modo di veder le cose deve partire esclusivamente da lui, ma per parte mia posso avere un qualche ruolo nello spingerlo a fare un simile passo ed a portarlo avanti?

Grazie ancora di cuore.

Può darsi che il suo

Può darsi che il suo occuparsi così da vicino di suo fratello e di esserne così dipendente (cordone ombelicale) faccia parte di quei 'giochi' che dicevo, quasi 'parti' in un 'copione' teatrale che si ripete e che mantiene la situazione fissa bloccando l'evoluzione. Credo che Lei debba cercare di uscire dal copione, non fare più la parte che ha accettato di fare in tanti anni. Finchè uno viene portato in braccio, non si decide a camminare con le sue gambe. Credo che Lei debba tirarsi indietro, a una maggiore distanza, lasciare che suo fratello, a cinquant'anni, se la cavi da sè. Ma forse Le sarà difficile farlo, senza qualcuno che vi guidi in una terapia familiare.
Cordialmente
drGBenedetti

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