Gli antidepressivi curano davvero o inducono uno stato anomalo del cervello?

una interessante ricerca apparsa su PLos Medicine evidenzia il fatto che non esiste alcuna prova che gli antidepressivi inducano un equilibrio biochimico( qual'è il metro di misura per valutare il giusto equilibrio biochimico)?
infatti, secondo i ricercatori, gli effetti sedativi, non curativi, sarebbero dovuti ad uno stato anomalo del funzionamento del cervello indotto dai farmaci. Essi evidenziano che anche l'alcool sarebbe in grado di sedare reazioni di ansia o panico, ma non vuol dire che l'alcool riequilibri la chimica cerebrale, anzi...
si veda
http://www.plosmedicine.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pmed....

Viene in mente che molti

Viene in mente che molti adolescenti usano alcool e canne per darsi una spinta nei contatti sociali. (in California stanno studiando la canapa indiana come possibile farmaco antiansia: i ragazzi la usano già da tempo...) Alcuni casi che ho seguito direttamente li usavano proprio per contrastare una crescente difficoltà ai contatti sociali. Le cose però poi non andavano bene. Bere un goccio dopo un forte stress era abbastanza usuale, una volta. E che la cocaina scorra a fiumi nei party della buona società copre forse una crescente difficoltà alle relazioni, sociali e sessuali, ecc. Stiamo diventando una società malata che fa un crescente uso di droghe, legali e no? (In inglese, il termine 'drugs' indica sia i farmaci che le 'droghe'...)

Riprendo qui anche la tua

Riprendo qui anche la tua questione sull'uovo o la gallina dell'altro thread.
Di solito la domanda "prima l'uovo o la gallina" è il classico esempio della domanda assurda, a cui non si può rispondere e a cui forse non val la pena di rispondere, perchè non cambia la vita. Non è che anche le domande sul rapporto fra comportamenti e biochimica cerebrale sono assurde, così poste? Sappiamo che certe sostanze (alcool, droghe, sedativi, ecc) modificano il comportamento, in modo più o meno prevedibile - come anche gli antidolorifici modificano la percezione del dolore (non la causa). Gli psicofarmaci sono stati scoperti più o meno casualmente all'inizio proprio per gli effetti comportamentali. Si può far dormire una persona (gli anestesisti lo fanno benissimo), si può non fargli percepire il dolore, anche quello mentale. Le cure palliative cercano di evitare il dolore quando non c'è modo di curare la causa. Io penso che la psichiatria farmacologica sia qualcosa di simile, una cura palliativa, un rimedio sintomatico che può diminuire il dolore mentale, tenere a freno i sintomi. Nelle gravi malattie mentali, schizofrenia, psicosi maniaco depressiva, probabilmente è inevitabile l'uso,(ma è anche una scelta di politica sanitaria, quali ricerche incentivare, quali servizi promuovere, quali interventi mettere a disposizione...) - però non in psichiatria infantile, in cui oltretutto questi quadri sono estremamente rari. Anche in tutte le situazioni 'nevrotiche', fobico ossessive, depressive, ecc, il farmaco verosimilmente non modifica la situazione di vita in meglio, cioè gli effetti positivi dei farmaci sono controbilanciati e superati dagli effetti negativi sia fisici che psichici (dipendenza, ecc).
L'argomento è da riprendere, ora non mi viene molto, è già varie volte che tento di scriverne in questi thread...

il rapporto tra farmaco e nevrosi

(..)Ma in tutte le situazioni 'nevrotiche', fobico ossessive, depressive, ecc, il farmaco verosimilmente non modifica la situazione di vita in meglio (..)

in virtù di quanto già esposto ritengo non solo che non migliorino la situazione di vita, ma la peggiorano nel momento in cui un nuovo elemento entra a far parte della vita di quest'ultimi, ossia il rapporto con le medicine. Il cosiddetto "nevrotico" ha già una modalità conflittuale e disfunzionale di rapportarsi al mondo, tale atteggiamento si riproduce inevitabilmente nel rapporto con le medicine. Esse diventano dei punti di riferimento, i compagni giornalieri verso i quali si creano aspettative (purtroppo deluse) che inducono alla ricerca del compagno (farmaco) migliore. "Mi fa male ma ne ho bisogno", "non mi fa nulla cerco altrove" "quel medico me ne da di più è ciò che ci vuole" "il medico mi ha tradito perchè il farmaco non funziona" e così via!
Ma la psichiatria moderna, negando il concetto di nevori, di comportamenti difunzionli, tende quindi a sottovalutare il rapporto del nevortico con il mondo e si preoccupa solo di ripristinare un equilibrio biochimico fittizio.

MA DOVE STA IL CRITERIO PER INDIVIDUARE L'EQUILIBRIO BIOCHIMICO? LA MODERNA PSICHIATRIA SA RISPONDERE A QUESTO?

Sono d'accordo con quanto

Sono d'accordo con quanto scrivi. Secondo me la psichiatria odierna è entrata in un labirinto da cui non riesce ad uscire, avendo perso la bussola e il filo d'Arianna del rapporto medico-paziente. La terminologia psichiatrica e lo slang pseudoscientifico ossessivo manieristico in cui si esprime sono un segno del suo brancolare nel buio, insieme al trionfalismo che sappiamo spesso copre le paure catastrofiche. Un po' come nella bolla edilizia che sembra aver provocato la crisi economica corrente. La psichiatria attuale costa sempre di più e vale sempre di meno, e purtroppo trascina con sè una quantità di persone che potrebbero trovare risposte più adeguate ma sono confuse dalla propaganda e dalla pubblicità un po' come i compratori erano confusi dalle banche e dai procacciatori d'affari. Potremmo parlare di una 'bolla biopsichiatrica', a rischio di esplodere, prima o poi... Un po' come è successo per la psichiatria manicomiale.

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