per una clinica dello sviluppo

Occupandoci di bambini in via di sviluppo, e venendo consultati per bambini con variazione dalla norma del loro sviluppo e comportamento e apprendimento, siamo colpiti dall'estrema varietà delle situazioni osservate, dalla grande variabilità dei possibili quadri che mal si prestano ad essere raccolti in poche categorie sulla base di qualche elemento in comune, come vorrebbe la psichiatria odierna. In particolare nel campo dei disturbi dello sviluppo, di fronte alla grande eterogeneità di certi quadri clinici che mostravano difficoltà di sviluppo di competenze come quelle comunicative linguistica relazionali, ecc, , è stato a un certo punto coniata la categoria dello 'spettro autistico', tentando così di tenere insieme quadri diversi ma accomunati da elementi simili. In precedenza, fino agli anni 70 - 80 del secolo scorso, la categoria dell'autismo era limitata ai casi più tipici, ma sempre con una notevole eterogeneità e confusione. Il concetto di 'disturbo pervasivo dello sviluppo' comparso nel DSM3 era stato utile per richiamare e identificare certi aspetti del problema, prima confusi con il concetto di psicosi, cioè di una patologia non connessa con lo sviluppo. Richiamando l'attenzione ai problemi dello sviluppo, questa denominazione poteva aiutare a mettere a fuoco vari fattori importanti. Ma per motivi da approfondire la società psichiatrica americana, curatrice del DSM, tornava a far prevalere l'idea di una malattia responsabile delle anomalie in questione, pur nella loro diversità, e coniò così il concetto di 'spettro autistico'.
Gli effetti sono stati una grande confusione e un dilatarsi della categoria a comprendere i quadri più diversi che poi nel tempo cambiavano diagnosi e 'uscivano dallo 'spettro', per usare la loro ridicola espressione, mostrando quindi una notevole inconsistenza e inaffidabilità. L'effetto fu fra l'altro l'esplosione di una specie di epidemia che porto i casi da uno su duemila a uno su trentotto, più che decuplicandoli.
Di fronte a tutto ciò C.Gillberg nel 2010 ha proposto di usare invece per tutte queste situazioni (insieme con adhd e le svariate manifestazioni di difficoltà di sviluuppo nei primi anni) la denominazione di ESSENCE, come etichetta non diagnostica utile per raccogliere casi ancora mal diagnosticabili per la varietà di sintomi e la variabilità di evoluzione.

A me sembrerebbe utile per così dire rovesciare l'ottica occupandosi invece dei possibili fattori che possono influenzare lo sviluppo e l'apprendimento di un bambino, comprendendo tutti i possibili fattori, sia individuali che ambientali per andare a valutare le linee evolutive dello sviluppo nel suo complesso. Valutare quindi, nei bambini che vengono all'osservazione insieme alle loro famiglie, la presenza di fattori identificabili che possono avere influenza sullo sviluppo delle competenze. Mi rendo conto che si potrebbe anche qui andare a creare dei test basati su punteggi ai vari items dalla cui sommatoria potrebbe derivarne una valutazione di rischio per lo sviluppo. Ma forse sarebbero meno nocivi dei test che invece presumono di valutare la presenza di 'disturbi', cioè di patologie comunque chiamate. L'identificazione di fattori la cui carenza può portare un rischio di alterazione dello sviluppo, e per converso di fattori la cui presenza invece può avere lo stesso effetto, potrebbe allargare l'ottica dalla ricerca di malattie del bambino alle condizioni in cui un bambino cresce e in caso di difficoltà ed anomalie, portare a possibili modifiche di cui valutare a breve distanza gli effetti.
E' in effetti quello che si fa quando di fronte a una situazione in osservazione si formulano ipotesi da confermare mediante esami clinici (EEG, RMN, cromosomi, analisi per dismetabolismi, ecc) alla ricerca di fattori individuali organici che possono influenzare lo sviluppo delle competenze innate, e mediante ricostruzioni, osservazioni, ecc, alla ricerca di condizioni ambientali interumane che possono favorire o ostacolare lo sviluppo ( eventi traumatici, organizzazioni familiari, modalità di accudimento, modalità relazionali comunicative, ecc). Dalla combinazione dei risultati possono derivarne ipotesi diagnostiche non categoriali ma funzionali, suscettibili di interventi che modifichino i fattori in gioco.
Data la grande quantità di fattori in gioco, non sarebbero i singoli fattori ad essere determinanti, ma l'insieme di essi e la loro combinazione. Ad esempio andata all'asilo, nascita di un fratellino, lutto familiare, malattie ecc devono essere considerati non solo in sè, ma nella loro combinazione e rapporto temporale, per cui il singolo evento traumatico può non avere effetti importanti ma la cumulazione di diversi fattori traumatici sì. O magari la concomitanza con fattori di fragilità individuale aumentata estemporaneamente che rendono traumatico un evento che altrimenti non lo sarebbe stato.
Tutti gli aspetti della vita e dell'esperienza di un bambino nel suo ambiente possono essere esaminati e valutati nei possibili effetti in concomitanza e combinazione con altri. E' ovviamente un campo molto complesso che rimanda a quelli studiati dalla teoria dei sistemi complessi e degli sviluppi non lineari. In quest'ottica non è il singolo fattore ad essere positivo o negativo ma il suo rapporto con gli altri fattori, precedenti, concomitanti e successivi, in un effetto cumulativo e combinato.
La visita nel caso di bambini con difficoltà dello sviluppo dovrebbe essere orientata a valutare tutto il quadro allargato del bambino e del suo ambiente, per costruire delle specie di mappe evolutive in cui gli aspetti fenomenologici ( ritardi, ecc) vengono messi in rapporto con tutti i fattori durante l'evoluzione per seguire la linea evolutiva di quel dato bambino individuandone i possibili aspetti di rischio e le possibili correzioni di rotta e di fattori incidenti. Il controllo nel tempo permette di vedere l'evolversi della situazione e di modificare le cose in corso d'opera, per così dire.
ottobre 2017
L'editoriale della rivista Journal of Psychology and Psychiatry dell'aprile 2020 sembra venire decisamente dalla nostra parte, quando afferma l'importanza delle modalità di accudimento e dlle caratteristiche dei 'caregiver' e la necessità che i pediatri valutino, accanto ai fattori fisici dello sviluppo, anche quelli psicorelazionali e ambientali.
Joan L. Luby Editorial: The primacy of parenting Journal of Child Psychology and Psychiatry
Volume 61, Issue 4

"In primary care settings, the focus on assessing and enhancing caregiver sensitivity in early childhood is not yet a standard of care in general health promotion as is the routine focus on diet, safety, speech and language, cognitive, motor skills, and immunizations. The available data now indicate that assessment of and attention to caregiving practices should become a routine part of pediatric primary care. "
L'attenzione e la valutazione delle pratiche di accudimento deve diventare una parte di routine nell'assistenza pediatrica primaria.
(aprile 2020)

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