SVILUPPO e sue difficoltà

SVILUPPO e sue difficoltà

Normalità e patologia o aspetti favorevoli e sfavorevoli per lo sviluppo?

Negli ultimi decenni ha dominato il campo della neuropsichiatria infantile e della psicologia dello sviluppo una concezione riassumibile nella formula “Normalità o patologia”. Cioè quello che non è 'normale' è 'patologico', quindi ascrivibile a malattia, visto che in medicina 'patologia' significa 'malattia', 'studio delle malattie', come sanno bene gli studenti di medicina che devono affrontare gli esami di patologia medica e patologia chirurgica, oltre che di patologia generale, anatomia patologica, ecc, ecc. A dire il vero anche la psicoanalisi in questo non è esente da colpe: uno dei libri più importanti in psicoanalisi infantile, infatti, della figlia di Freud, Anna, si chiamava “Normalità e patologia del bambino”.

In pratica nella concezione che ha dominato gli ultimi tempi tutte le situazioni diverse dalla 'norma', come tempi dello sviluppo o aspetti del comportamento, sono considerate causate da 'patologie' da identificare e 'curare', come appunto la medicina (occidentale) vuole fare con tutte le malattie. E la 'norma' è fissata secondo delle tabelle piuttosto rigide di epoche di acquisizione di capacità e di caratteristiche comportamentali. Chi va fuori di queste tabelle si ritrova automaticamente etichettato con una diagnosi di 'disturbo' di qualche tipo.

Di impostazione fortemente biologicistica, ispirata dalla psichiatria americana che si riconosce nelle edizioni del DSM dal 3 fino al 5, questa concezione ancora dominante mira a stabilire una forte contrapposizione fra la 'normalità' e la 'patologia' e tende a creare sempre nuove 'malattie', identificandole in raggruppamenti di sintomi. Non potendo però definire 'malattie' le categorie così create, sia per l'ignoranza dell' etiopatogenesi, cioè delle cause e della genesi, che per la mancanza di alterazioni biologiche alla base dei vari quadri così definiti, ha coniato il termine 'disturbi' per definire tali quadri sintomatici. In precedenza, qualche decennio fa si parlava di 'sindromi', quando si riconoscevano dei quadri clinici non identificabili specificamente nella loro etiopatogenesi. Per qualche motivo questo termine è passato in disuso ed è stato imposto quello di 'disturbo'.

Ormai non si nega a nessuno, se ha un comportamento non ben comprensibile o qualche ritardo di maturazione, di avere un 'disturbo' alla base dei suoi 'sintomi', disturbo che ovviamente è considerato qualcosa 'dentro' il bambino o dentro la persona interessata che 'disturba' il suo sviluppo o il suo comportamento. Questa concezione ha accecato totalmente molte persone, dagli accademici agli specialisti alle maestre e via via fino ai vicini di casa, parenti e genitori, e impedisce loro di domandarsi se per caso c'è qualcosa che 'disturba' il bambino e il suo sviluppo, fuori del bambino. Specialmente se non si trova una causa 'interna', come sembra essere nella maggioranza dei casi, nonostante tutte le ricerche e gli esami effettuati.

Si è diffusa una particolare forma di cecità, di visione con i paraocchi, si potrebbe dire, che fa sì che in psichiatria e psicologia dello sviluppo, la 'scienza', come si dice, sembra in gran parte non poter rivolgere la sua attenzione all'ambiente circostante il bambino, alle sue esperienze di vita e alle caratteristiche dell'ambiente educativo che possano essere favorevoli o di ostacolo allo sviluppo delle varie capacità e della persona nel suo complesso. Da varie parti in realtà non è così, e c'è per fortuna un filone della psichiatria dell'infanzia che sta faticosamente occupandosi delle influenze ambientali sullo sviluppo; ma per qualche motivo rimane come nascosto, nei suoi risultati, e soverchiato, a livello di diffusione delle notizie, sui giornali, nelle tv, ma anche nei servizi pubblici e privati, che si sono organizzati negli ultimi decenni solo per corrispondere alla concezione biologicistica dello sviluppo mentale.

In realtà per effetto del dominio di questa concezione a livello anche accademico e organizzativo gran parte degli operatori non sa vedere con i propri occhi e ragionare con la propria testa e non ha imparato a riconoscere ed affrontare altri aspetti oltre alla raccolta dei sintomi, dei risultati dei test e all'indicazione di 'terapie' secondo le cosiddette 'linee guida ' applicate per lo più acriticamente.

Bisognerebbe fare tabula rasa di tutto ciò e ripartire da capo. Osservare approfonditamente le situazioni di difficoltà o alterazione dello sviluppo e indagarle a tutto campo, sia sul versante biologico – neurologico, che sul versante relazionale, ambientale, educativo. Sarebbe necessario liberarsi dei preconcetti che hanno offuscato la vista , sia quello biologicista che quello psicogenetista che a lungo hanno impedito ai propri adepti di guardare la realtà con spirito realmente scientifico e non fanatico e ideologico. Probabilmente questo potrebbe essere ottenuto più facilmente se si riconoscesse che in realtà non si conosce nulla o quasi in questo campo, occupato e offuscato da 'verità' dogmatiche e fideistiche. Spesso le conoscenze tradizionali, popolari, si rivelano più adeguate delle cosiddette conoscenze 'scientifiche' accumulate dalla psichiatria e dalla psicologia nella loro tutto sommato ancora breve storia. Al massimo queste si sono rivelate talvolta utili a controllare il comportamento delle persone e a condizionarlo, per scopi spesso diversi e lesivi dei loro interessi, del loro sviluppo e della loro personalità.
(novembre '18)

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