Disprassia ed altri fantasmi.

Un nuovo fantasma si aggira per il web, e anche nel mondo reale: e chiamato 'disprassia infantile', e segue altri fantasmi che di recente hanno sparso terrore nelle famiglie, quello della 'dislessia infantile' e altri. Per cacciare questi fantasmi si sono formate organizzazioni di ghosthunters, caccia-fantasmi, che però forse contribuiscono a diffonderne il terrore e all'epidemia.
Fuori dall'ironia, che speriamo non faccia troppo arrabbiare, riteniamo necessario cercare di fare un po' di chiarezza su questi argomenti, o per lo meno di dire la nostra opinione - professionale - sulla situazione, vista le crescenti richieste sull'argomento.
Sempre più bambini con ritardo del linguaggio vengono diagnosticati, generalmente non da medici specialisti, ma da logopediste, come affetti da 'disprassia verbale'. A seguito di questa 'diagnosi', affinata da una valutazione 'numerica' desunta da una lista di sintomi, come è in voga fare oggi nel campo 'psico', vengono prescritti interventi di logopedia e psicomotricità, più o meno variati secondo modelli e metodi diversi. Come nel campo della psichiatria, dove sempre nuove malattie vengono coniate in base a liste di sintomi o comportamenti, anche nel campo dello sviluppo psichico infantile questa 'prassi' sembra foriera di confusione. Sintomi, malattie, diagnosi, terapia rischiano di diventare termini inflazionati e privati di significato, il tutto a scapito di possibili danni iatrogeni ( cioè causati dall'intervento medico / dal greco iatròs: non esiste un termine corrispondente per gli interventi non medici, ma il danno può esistere eccome...), agli interessati, i bambini e le loro famiglie. Vedi questo articolo per un'ulteriore discussione su certe diagnosi e certe malattie di oggi.
Cerchiamo di spiegare il nostro punto di vista.

Sintomi e malattie
Termini come appunto 'disprassìa', 'dislessìa', 'disfasìa', 'astasìa', 'abasìa', atassìa, 'disdiadococinesìa', 'astereognosìa', ecc., sono usate da più di un secolo dai neurologi, per indicare sintomi di impaccio motorio, incapacità di leggere, di parlare, di stare in piedi, di camminare, di coordinare i movimenti, di girare velocemente le mani, di riconoscere oggetti al tatto, ecc: questi sintomi più o meno insieme e separatamente, sono stati riconosciuti, nei pazienti adulti, come legati a certe malattie del cervello e a lesioni (vascolari o altro) in particolari aree dello stesso. Molto prima delle tecniche moderne, un bravo neurologo riusciva, in base ai sintomi e ai segni che costituivano l'esame clinico, a fare diagnosi della malattia in atto, che poteva essere un ictus o altro, e della sede della lesione. Per cui il sintomo, appunto, non era la malattia, ma solo il segnale e l'effetto di essa. La neuropsicologia era il campo di interesse dei neurologi che cercavano di localizzare le diverse aree cerebrali corrispondenti ai sintomi. Così si sono individuate, e sono rimaste legate al nome dello scopritore, ad esempio le aree di Wernike e di Broca per il linguaggio, mentree Broadmann classificò diverse aree in base alle funzioni collegabili con esse. Una lesione dell'area di Broca, nel lobo frontale, produc(eva) la classica afasia di Broca, ecc.
I medici, specialmente quelli di una volta, erano ben attenti a non confondere sintomi con malattie, e a cercare la base anatomopatologica, e l'etiopatogenesi delle malattie che producevano i diversi sintomi. E la cura della malattia, non derivava tanto dai sintomi, quanto dalla conoscenza delle cause della stessa. Cosa che dovrebbe valere anche oggi.

Nell'infanzia
Passando ai bambini e allo sviluppo delle funzioni che invece andavano perdute negli adulti con lesioni cerebrali, le cose si sono progressivamente complicate e confuse. Forse perchè i bambini sono stati a lungo trascurati dalla Medicina, e tuttora la pediatria e le specialità dei bambini sono considerate un po' come Cenerentole dalla Medicina degli adulti, un po' forse anche perchè progressivamente si sono occupate di questi problemi professioni non mediche, dalla psicologia, alla logopedia, probabilmente meno attente alla distinzione fra sintomi e malattie, così come sono meno attente agli effetti collaterali degli interventi e come non hanno in mente il classico motto dei medici "primum non nocere", primo non nuocere.
Per cui nel campo infantile un po' alla volta è stato un pullulare di sindromi e malattie chiamate con il nome che la medicina negli adulti dava ai sintomi: e così dislessìa progressivamente da sintomo è diventata una malattia, e di seguito disfasia, disprassia, ecc a ruota. Il tutto però senza la base anatomo istologica che la medicina pretende per il riconoscimento delle malattie.
La stessa cosa è avvenuta contemporaneamente nella psichiatria, dove com'è noto alle malattie, - chiamate però ora 'disturbi' (disorders, in inglese) - specie quelle più di moda recentemente, come gli attacchi di panico, i disturbi ossessivi compulsivi, i disturbi bipolari o borderline, ecc., non corrispondono nè lesioni specifiche nè particolari anomalie di laboratorio, come nel caso del diabete e altre malattie metaboliche (prima che diano alterazioni istopatologiche).

Abuso del termine malattia
Per cui la dislessia infantile in realtà è solo un termine che indica la difficoltà di leggere in bambini in cui si escludono cause note (come la trascuratezza ambientale o la cattiva scolarizzazione, ad esempio), e non una 'malattia', cme molti pretendono. E lo stesso vale per la 'disprassia' infantile, compresa quella 'verbale' che al massimo si può considerare sinonimo più raffinato di impaccio o goffaggine motoria, e qualcuno pretende che sia invece una 'malattia' . In questo sito, ad esempio, si dice che "La Disprassia è l’incapacità di compiere movimenti volontari, coordinati sequenzialmente tra loro, in funzione di uno scopo. È una malattia che colpisce il 6% della popolazione infantile tra 5 e 11 anni." Gli autori sono logopediste e psicomotriciste, così come altre personalità che si occupano di questa 'malattia' sono logopediste, che magari poi si laureano in psicologia e si definiscono 'neuropsicologhe'. Probabilmente è la mancanza di formazione medica che confonde le cose, fra sintomi e malattie. Il che però può produrre danni e ulteriore confusione, in un mondo come quello attuale dove conta più l'apparenza la pubblicità e la propaganda che non il reale approfondimento e la conoscenza delle cose. Sarebbe bene considerare ancora che il termine 'malattie' definisce un ambito di stretta pertinenza della Medicina (nemmeno questa dà però reali garanzie, vedi qui), da non usare con faciloneria, perchè le conseguenze sulla popolazione possono non essere di poco conto.

Normalità e variazioni nello sviluppo
Un certo numero di bambini sono impacciati e in difficoltà nei movimenti e nell'organizzazione motoria più di altri. In realtà come per altre manifestazioni, la distribuzione delle capacità motorie nella popolazione si distribuisce statisticamente secondo la curva gaussiana: per cui a un estremo avremo persone eccezionali come il ballerino Nurejev, o il pianista Allevi, o il funambolo che passò su una fuse tesa fra le torri gemelle, e dall'altra persone goffe e impacciate che non sanno giocare a calcio o ballare. Ma anche nei bimbi esattamente nella media gaussiana si può notare che le abilità maturano con l'età. A sei mesi la maggioranza imparano a stare seduti, alcuni già prima, altri un po' dopo. A un anno la maggioranza fa i primi passi e dice le prime parole, e così via. L'equilibrio e la coordinazione talora sono un po' in ritardo. In questi casi spesso la Risonanza Magnetica- eseguita per altri motivi - rileva una incompleta mielinizzazione delle vie nervose, o l'EEG un ritardo nella maturazione dei tracciati.
Insomma al ritardo della comparsa delle abilità motorie (equilibrio, coordinazione, ecc) spesso corrisponde un ritardo nella maturazione del Sistema Nervoso centrale, e infatti questi bambini acquisiscone quelle abilità in ritardo, sì, ma le acquisiscono e poi con la pratica si perfezionano. Per cui a volte un bambino può cominciare a camminare a 18 mesi, o a parlare a tre anni, ma poi succede magari che nessuno lo ferma più, come dicono a volte i genitori.
Per cui una delle cause più comuni del ritardo delle abilità è l'immaturità, perchè anche in questo caso non tutti siamo uguali, e, come si dice, ognuno ha i suoi ritmi, che devono essere rispettati, pena procurargli complicazioni e danni. Questi danni sono spesso procurati dalle organizzazioni e dalle istituzioni educative e scolastiche, che invece vorrebbero bambini tutti uguali, allo stesso livello di sviluppo nei vari anni, in modo da non differenziare l'attenzione e l'insegnamento a seconda dei diversi livelli. Sono comprensibili le esigenze istituzionali, specie in tempi di crisi, ma non ciò giustifica il trasformare quelli che non rientrano negli schemi preformati in 'malati' da differenziare.

Malattie neurologiche o ritardo maturativo?
Diverso è il caso in cui la difficoltà motoria non è dovuta a immaturità ma a malattia neurologica, genetica o acquisita. Per questo è necessario che, se il ritardo si fa marcato, i genitori, tramite il pediatra del bimbo, si rivolgano a specialisti per fare indagini appropriate. A volte il ritardo è espressione di una patologia che si manifesta chiaramente solo più tardi. Sia malattie motorie, neurologiche e muscolari, che altre malattie si manifestano inizialmente come un ritardo e progressivamente come una patologia. In questi casi sfortunati una diagnosi precoce può permettere una miglior organizzazione dell'intervento, anche se molto spesso non esistono rimedi o interventi risolutivi. Ma la diagnosi della patologia sottostante è un atto medico, richiede parametri medici che comportino alterazioni documentabili di organi o strutture. Un ritardo di maturazione non è una patologia, e tantomeno una malattia da curare.
Ma negli altri casi, dove è in gioco solo un ritardo maturativo (essendo state escluse altre malattie attualmente conosciute), non sono necessari per lo più interventi particolari, perchè la maturazione segue le sue vie e i suoi ritmi, solo più rallentati. Spesso è il confronto con gli altri, le esigenze istituzionali delle scuole, a creare problemi pretendendo che i bambini abbiano tutti gli stessi ritmi di evoluzione.
L'esempio del linguaggio, e in particolare delle dislalie, è secondo me paradigmatico.
In un campione di bambini di due anni probabilmente avremo un 20 % di dislalie, che si ridurranno al 5% a 4 anni e probabilmente al 1% a 6 anni. Negli adulti le dislalie a parte la 'r' francese, sono molto più rare. Il che significa che la stragrande maggioranza di esse passa con la crescita.

Interventi (ri)abilitativi precoci?
Un discorso ulteriore meritano gli interventi riabilitativi, logopedici o psicomotori, che vengono prescritti in questi casi. Si tende in questo periodo ad anticipare gli interventi ai 3 o addirittura ai 2 anni. Non viene considerato che sono età molto delicate per intervenire alterando inevitabilmente le esperienze del bambino e sottoponendolo a situazioni che non è stato dimostrato siano prive di effetti dannosi: in medicina un farmaco prima di essere autorizzato al commercio deve essere testato in vari modi e dimostrata la non tossicità, o comunque segnalati gli effetti collaterali possibili: nonostante ciò gli inconvenienti sono frequenti. Un intervento sanitario non è diverso da un farmaco. Ogni intervento medico e sanitario ha effetti collaterali, che possono essere tanto più gravi quanto meno sono conosciuti e attesi, e quanto meno conscio ed esperto della situazione è chi interviene. Ora il campo dello sviluppo psicoaffettivo dell'infanzia è ancora assolutamente poco conosciuto, così come sono poco conosciuti i fattori che possono influenzarlo, come ben sa chi si occupa di psicologia infantile e dello sviluppo. Logopediste e psicomotriciste non sono di solito specializzate in psicologia e tantomeno in psicologia infantile e possono non essere consapevoli dei rischi che interventi che modificano gli assetti familiari e individuali infantili possono avere. (Non è troppo raro che interventi settoriali non controllati creino scompensi globali per cui poi si ricorre allo specialista: bisognava farlo prima). In più il 'razionale' del loro intervento si basa su presupposti assolutamente ipotetici e non dimostrati. Tutti questi fattori insieme controindicano tali interventi in età precoce e comunque li subordinano al controllo di un esperto nello sviluppo infantile globale. Linguaggio e 'prestazioni' varie sono solo aspetti dello sviluppo globale che devono essere considerati nell'insieme, da parte di uno specialista dello sviluppo globale. Gli interventi settoriali, tecnici, seguono alla valutazione globale.
Ma ciò non è assolutamente quello che sta succedendo in questo periodo, dove con eccessiva facilità si dà alla logopedia la patente di 'specializzazione nel linguaggio', in maniera assolutamente indebita allo stato effettivo delle cose. Con questo non si vuole assolutamente attaccare la professione e la professionalità di logopedista, ma richiamare ai limiti della propria specializzazione. La mancata consapevolezza di questi spesso produce gravi danni.

Certo, però, quando leggiamo su un testo on line (non più reperibile al link originario)"...il logopedista si prefigge degli obiettivi a lungo e a breve termine. Nella presa in carico spesso, accogliendo il sentimento fallimentare del bambino e dando ad esso un signifi cato, egli attua la rêverie (mia sottolineatura) e favorisce in tal modo fasi di sviluppo fondamentali nel suo percorso terapeutico-riabilitativo. ..." non possiamo non rimanere allibiti dall'uso disinvolto di termini e concetti psicoanalitici evidentemente molto poco compresi, in questo caso scomodando W R Bion. Altri concetti appaiono abusati e inflazionati, come quello recentemente descritto da ricercatori in campo neurologico di 'neuroni specchio', col dubbio che siano usati per dare una riverniciatura di scientificità ad affermazioni spesso generiche, se il livello è quello della citazione di cui sopra. Affermazioni roboanti pseudo/scientifiche non sostituiscono ricerche epidemiologiche mancanti sull'evoluzione naturale delle difficolta' segnalate e sull'efficacia dei trattamenti. Ci riproponiamo di tornare su questo lavoro (ed altri, come questo, ad esempio), in cui è comunque apprezzabile lo sforzo sistematico di raccogliere le informazioni esistenti sull'argomento, anche se con un'ottica limitata al campo 'cognitivo', parola-chiave che oggi va per la maggiore, ma serve forse più a 'chiudere' che ad 'aprire' alle esperienze di apprendimento. In questo senso dovrebbe forse essere tenuto presente, visto che si vuole citare Bion, il concetto di 'Apprendere dall'esperienza', per dedicarsi a vedere quanto delle esperienze del bambino sono state e sono utili o dannose all'apprendimento, in senso globale.
(continua)

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