La Sindrome di Alienazione Culturale

Convegno di Adolescentologia Firenze 9 ottobre 2010
Uno scompenso adolescenziale atipico in famiglie immigrate: la Sindrome di Alienazione Culturale
Autori: Gianmaria Benedetti°, Silvana Russo°°, Daniele Losco°
°NPI ,°° Psicologa,
Servizio Salute Mentale Infanzia Adolescenza, viale D’Annunzio
ASL di Firenze

Premessa: L’espressione Alienazione Culturale viene usata nell’ambito delle analisi sul colonialismo e post-colonialismo, col significato di ‘processo di svalutazione o abbandono delle propria cultura o del proprio back-ground culturale’ da parte delle popolazioni autoctone soggette a colonizzazione e costrette a una rapida modificazione dei loro valori tradizionali. E’ chiamata in causa nei processi di decadimento sia di intere popolazioni che di individui, privati dei loro valori culturali e sociali tradizionali. Un'altra espressione spesso usata è Cultural cringe, traducibile come ‘umiliazione culturale’, ed è usata negli studi di antropologia sociale e culturale per indicare una specie di complesso di inferiorità che induce le persone di una nazionalità a svalutare la loro propria cultura come inferiore a quella dominante. Crediamo che si possano ritrovare aspetti simili nei casi di scompenso di cui trattiamo di seguito.

In questo particolare tipo di scompenso adolescenziale, che chiamiamo Sindrome di Alienazione Culturale per i motivi che spiegheremo sotto, le famiglie immigrate vengono drammaticamente “divise” e gettate nello scompiglio dagli agiti sintomatici del figlio adolescente mentre le comunicazioni fra le parti vengono bruscamente interrotte. Si tratta di un’improvvisa e drammatica richiesta del ragazzo o della ragazza (più o meno influenzato da qualcuno) posta ad agenzie sociali o sanitarie diverse quali Telefono Azzurro o Pronto Soccorso Ospedaliero ecc., di non tornare a casa, accusando i genitori di maltrattamenti vari. Al momento dei fatti per lo più non viene di prassi richiesta una valutazione psichiatrica o psicologica del ragazzo o della ragazza e l’intervento è immediatamente di tipo sociale/giudiziario: il ragazzo viene allontanato dalla famiglia e messo in comunità per tempi che diventano spesso molto lunghi.
E’ da notare che questa situazione non viene riconosciuta dagli operatori intervenuti come una forma di scompenso psichico, perchè mascherato sotto aspetti sociali, culturali, ideologici. Viene visto solitamente, anche per fattori ambientali attuali più o meno ideologizzati, solo come una situazione di conflitto fra diverse culture.
A noi pare che il conflitto culturale estremizzato, in cui l’adolescente sembra operare una scelta irreversibile, assomigli molto alle situazioni di conflitti coniugali di genitori separati in cui a un certo punto un figlio conteso, o più spesso una figlia, prende posizione contro un genitore (il più ‘debole’, solitamente), lo accusa di abusi vari e rifiuta di continuare ad avere rapporti con lui, con modalità quasi deliranti. E' la ben nota Sindrome di Alienazione Genitoriale che tanti problemi e difficoltà crea nelle situazioni di separazione conflittuale che investono i Tribunali.
Per analogia pensiamo che si possa parlare qui di una Sindrome di Alienazione Culturale, in cui l'adolescente è 'conteso' , non soltanto esteriormente ma anche dentro di sé, fra due culture conflittuali, quella originaria della famiglia e quella dell’ambiente in cui è cresciuto. Quando la situazione diventa intollerabile, per un motivo occasionale, il ragazzo o ragazza risolve psicopatologicamente il conflitto con una scelta di campo che aliena/amputa una metà della sua personalità e della sua vita, con modalità anche qui quasi deliranti (talora francamente deliranti) e con conseguenze che possono essere tragiche. La famiglia infatti, come quasi tutti gli operatori e le istituzioni coinvolte, non capisce quello che sta succedendo alla figlia/o e reagisce talora in modo incongruo: fra azioni e reazioni si può arrivare all'irrimediabile.
Scopo della presentazione è di attirare l’attenzione e la consapevolezza che episodi di questo tipo hanno di solito un significato psicopatologico importante e richiedono un immediato intervento psicologico/psichiatrico, insiema, o forse anche prima, di quello sociale.
Presenteremo sommariamente, per motivi di privacy, due episodi di cui ci siamo occupati recentemente, il primo conclusosi con il pieno ritorno a casa dopo 18 mesi, il secondo con il superamento degli aspetti psicopatologici e l’avvio di un confronto e ‘di trattative’ più realistiche fra adolescente e genitori nella famiglia interessata.

Due casi clinici Primo caso
Famiglia di origine asiatica. Il primogenito di 13 anni, in seconda media, chiama telefono azzurro e dichiara di essere picchiato dai genitori e di non voler più restare in casa.
Viene subito prelevato dalla forza pubblica e condotto, per mandato del TdM, in un centro d'accoglienza, dove passerà un mese accanto a ragazzi più grandi, stranieri irregolari, 'minori non accompagnati'. Visto da un assistente sociale, viene successivamente spostato, sempre sotto disposizione del Tribunale dei Minori, in una comunità religiosa che ospita alcuni ragazzi più piccoli con problemi sociali. Dopo aver interrotto per un mese la scuola per questi fatti, frequenta l'ultima settimana e farà la terza media in una scuola diversa, più vicina alla nuova residenza. Verrà poi iscritto a una scuola superiore a scelta della comunità.
Nel frattempo sono stati interrotti tutti i contatti con l'ambiente di origine che, si legge nei vari scritti ufficiali di AS e giudici, il ragazzo "non vuole riavvicinare".

Commento: Non viene riconosciuta la situazione di urgenza psicologica/psichiatrica ma solo quella ‘sociale’, e l’intervento psicologico comincia solo vari mesi dopo i fatti.
L’intervento consentirà che il ragazzo torni a casa stabilmente ma solo un anno e mezzo dopo gli eventi accennati. La ripresa di contatto del ragazzo con il suo ambiente dopo molti mesi è stata pareticolarmente difficile.-
Retrospettivamente si è riscontrato che all’epoca dei fatti e già in precedenza era in atto una alterazione psicopatologica importante. Lo scompenso era stato preceduto da una fase prodromica di progressivo conflitto intrafamiliare, in una famiglia con scarsi strumenti genitoriali di contenimento e comunicazione, anche per motivi linguistici (genitori e figli parlano lingue diverse, in pratica) ed è poi esploso con le manifestazioni ‘culturali’ descritte. La quantità di sofferenze e disagi sia del ragazzo che della famiglia forse avrebbero potuto essere minori se fosse stata riconosciuta la situazione di scompenso psichico e di urgenza psichiatrica / psicologica al momento del primo intervento sociale.

Secondo caso

Contemporaneamente alla dimissione del primo caso, ci veniva immediatamente indirizzato, da un'altra Assistente sociale che aveva fatto tesoro dell'esperienza precedente, un secondo caso che sembrava dello stesso tenore.

Questa volta si tratta di una ragazza di 17 anni, di una famiglia nordafricana, che improvvisamente, sotto suggerimento di conoscenti italiani, veniva accompagnata da questi a un PS ospedaliero e riferiva percosse da parte dal padre e chiedeva di non toprnare a casa. Immediatamente era raccolta la sua denuncia, era visitata con prognosi di 7 giorni per lesioni fisiche ma NON era però vista da psichiatra o psicologo: su disposizione del TdM veniva accompagnata immediatamente presso un centro di accoglienza protetto con affidamento al Servizio Sociale.
E’ da notare che anche in questo caso c’è un’induzione all’agito da parte di esponenti dell’ambiente culturale italiano, fortemente coinvolti. Interveniamo quindi solo dopo dieci giorni dagli eventi, a differenza del primo caso. Meglio, ma ancora non sufficiente: la separazione ambientale è già fatta e i tempi non saranno comunque molto brevi.
Dalla nostra valutazione psichiatrica/psicologica non emergono disturbi evidenti del pensiero, del comportamento o della relazione ma segni retrospettivi di una difficoltà psichica evolutiva crescente manifestata dalla bocciatura l'anno precedente e da recenti ripetute assenze da scuola e contrasti crescenti con i genitori, come vediamo in tanti casi di adolescenti non extracomunitari. I colloqui paralleli fanno emergere progressivamente un'immagine dell'evoluzione recente della famiglia e della ragazza: da alcuni anni sembra evidente una crisi crescente, non accompagnata però da una sufficiente consapevolezza della famiglia. La tematica dominante è il "non poter parlare con i genitori" e il suo ‘rinchiudersi’ in comportamenti progressivamente più problematici fino alla crisi.
Si può comunque cominciare a lavorare quasi subito da un lato con la ragazza e la comunità e il servizio sociale, dall’altro con la famiglia.
I contatti fra ragazza e famiglia riprenderanno dopo alcuni mesi, con varie difficoltà, superando progressivamente la paura che si era creata nella ragazza e anche nella famiglia: questa è rivelata dal fatto che dopo poco tempo, a seguito di uncasuale incontro esterno, anche una sorella dovrà ricorrere al PS per crisi di ansia ripetute (diagnosticate Attacchi di Panico al PS), che saranno poi meglio comprese negli incontri familiari, come segno dello stato critico dei rapporti intrafamiliari su cui lavorare per modificare un assetto familiare disfunzionante..
Progressivamente sembrano venire a galla modalità disfunzionali della famiglia che appaiono mettere le figlie adolescenti (la terza è ancora prepubere) di fronte a conflitti insolubili, senza vie d'uscita se non sintomatiche.
La sintomatologia ansioso fobica della secondogenita, insieme alla sua rinuncia quasi al mondo dei coetanei, sembra fare da pendant alla 'fuga' della primogenita, come vie opposte di soluzione del conflitto insolubile non soltanto per le culture diverse, ma per la particolare modalità di funzionamento della famiglia dove le tradizioni culturali erano funzionali all’organizzazione familiare particolarmente rigida.
(Possiamo fare il confronto infatti con una famiglia vista nello stesso periodo, della stessa nazionalità e cultura e religione, ma con una diversa organizzazione e modalità di funzionamento familiare che affrontava in modo diverso una importante crisi delle figlie adolescenti: in questo caso i genitori si era rivolti autonomamente al servizio per un aiuto specialistico.)

Grazie al lavoro svolto lo scontro intrafamiliare, che aveva preso gli aspetti sintomatici di rifiuto e fuga dal suo ambiente, prende l’aspetto di un confronto e di trattative per modificare le regole familiari. Sono stati ampiamente ripresi i rapporti con l’ambiente familiare, anche allargato, ma il pieno ritorno a casa appare ancora condizionato dalle ‘trattative’ in corso. La ragazza ha superato la crisi, ha ripreso la frequenza della scuola con ottimi risultati e mostra una grande maturazione personale in atto e una grande lucidità, a questo punto, nel valutare la situazione e nel pensare alle possibili opportunità. Come a volte succede la crisi, opportunamente contenuta, è foriera di una maturazione evolutiva che prima era bloccata.

Considerazioni conclusive Gli avvenimenti descritti appaiono leggibili, come in altre situazioni di scompenso adolescenziale, come momenti di crollo di un'organizzazione familiare basata su modalità rigide non più funzionali all'età e alle necessità evolutive. Il nostro lavoro sembra essere stato prevalentemente quello di ripristinare le vie di comunicazione interrotte e di favorire l’elaborazione e la comunicazione su quanto prima era diventato ingestibile.
Gli aspetti ‘culturali’ che costituiscono la manifestazione più eclatante di queste situazioni, con un’apparente ‘scelta’ della cultura esterna da parte dell’adolescente e rifiuto della cultura tradizionale familiare, sono solo una manifestazione particolare dello scompenso psichico. Il rischio è di prenderli per veri e non riconoscere il ruolo sintomatico, di maschera, che hanno.
L’agito sintomatico, che forse diversamente contenuto potrebbe rientrare più rapidamente, attiva delle risposte istituzionali a nostro avviso inadeguate che incanalano gli eventi su percorsi precostituiti che fissano e forse complicano le situazioni. Di qui la complessità e la lunghezza dell’intervento per uscire dallo scompenso in maniera evolutiva ed evitare scissioni e fantasmi che possono pesare sullo sviluppo successivo.
Quanto mai opportuno appare segnalare l’esistenza di questi casi e la loro natura psicopatologica di scompenso psichico individuale e familiare e la necessità di un intervento tempestivo di tipo psicologico.
La delineazione di queste manifestazioni come una specifica Sindrome di Alienazione Culturale potrebbe essere utile a riconoscerle più facilmente e mettere a fuoco necessità e indicazioni, modificando le attuali procedure d’urgenza medico-sociali per far posto a un intervento urgente psicologico individuale e familiare in uno spazio sanitario e non immediatamente sociale di accoglienza, come succede negli altri tipi di scompenso psichico adolescenziale.

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