Galiani e i riflessi della decomposizione sociale in analisi

Ai seminari del Fuligno sulle trasformazioni attuali della psicopatologia questa volta era di turno Riccardo Galiani * - altro psicoanalista con nuance lacaniane ma meno esclusivo, che nelle citazioni spaziava da Freud a Winnicott e specialmente a Pierre Fedidà**, oltre che al Sarte delle 'Mosche' e al Pasolini del 'Paese senza lucciole'. Il titolo della sua relazione era "La città carogna e lo stato limite dell'umanità", e solo dopo parecchio tempo - ahimè i pensieri del Nostro sono interessanti ma la sua loquacità mortifera delle possibilità di attenzione e comprensione da parte della platea, oggi non molto affollata - il mistero / dilemma del titolo è stato svelato come spunto fornito da una paziente di Napoli, relativo non solo alla monnezza dilagante ma alla decomposizione del viver civile quasi in un corpo di città ormai morto e abbandonato sulla strada come la carogna di un cane, che entrava nella stanza d'analisi. La seconda parte del titolo allude all'effetto di trasformazione in stato limite, versione francofila dell'anglofilo 'borderline', dei disagi psichici di un'umanità desolata e ridotta a non distinguere più facilmente percezioni psicotiche da intrusioni della decomposta realtà esterna. La coincidenza degli eventi in Libia illustra bene come il cadere di rigide e abnormi organizzazioni esterne svela le condizioni psicotiche in cui versa il Potere che riduce i paesi alla realizzazione dei deliranti desideri senili di lìder narcisisti incapaci di invecchiare, come già avvenne nelle gerontocrazie sovietiche, jugoslave e ora di diversi paesi del Mediterraneo. La puzza di marcio pervasiva sembra diventata un'esperienza comune, analoga anche con colori diversi in regioni diverse, dove la decomposizione sembra pervadere gli 'organi' diversi e le 'parti' diverse del corpo istituzionale in putrefazione avanzata.

Nell'esposizione dell' Oratore (ci viene il dubbio che la lentezza di eloquio, la faticosità di costruzione della frase, interrotta da continui rimandi e incisi, sia quasi un marchio di scuola - come altri in questo ciclo di seminari - che vuole dare il senso di un pensiero nascente, di profondità, ma c'è invece un senso di fastidio per l'esposizione indebita al pubblico di aspetti privati dell'atto di 'creazione', che- scusate - non è il caso, rammentando un antico Benigni...), le citazioni cliniche hanno un effetto rivitalizzante, anche qui quasi aria fresca entrata da una finestra improvvisamente aperta. Ma anche qui sono le 'descrizioni' dell'interazione paziente/analista che hanno questo effetto e riportano però a cose circolanti, riconoscibili, transfert e controtransfert, acting in (enactment), acting out, transfert negativo, la realtà che intrude nella relazione analitica, le incomprensioni e i travisamenti che fanno erompere la realtà interna messa in risonanza. Ma in questo, a mio avviso, non cè niente di nuovo, rispetto non solo all'ampiamente citato Uomo dei lupi, ma anche all'Uomo dei Topi che intrudeva pesantemente nella vita privata di Freud, ancora non abituato a gestire, novello Apprendista Stregono, quello che col suo nuovo strumento aveva osato risvegliare. Per cui ritorna la domanda che ci accompagna fin dall'inizio di questi seminari: sono veramente nuove forme della psicopatologia che si manifestano o si tratta solo di vestiti diversi che coprono corpo e mente umana che è in realtà la stessa da ormai centinai di migliaia di anni, solo con maschere diverse. Come ci mostra l'attuale caduta della maschera nel nord africa, che sembra mostrare che bisogni e richieste umane, di libertà e democrazie sono in realtà le stesse ovunque, nel tempo e nello spazio, anche se sepolte sotto mascherature pesanti. L'umanità si adatta agli ambienti e ai climi più diversi, ma deve ovviamente variare il suo abbigliamento e le sue organizzazioni per resistere ai diversi climi e ambienti naturali. In un passato ancestrale la selezione ha anche portato a tipi diversi, per colore della pelle, caratteristiche somatiche, chissà, forse anche caratteristiche mentali, che permettono in certe condizioni abientali un miglior adattamento. Forse non sono quindi 'nuove patologie', ma solo una diversa distribuzione di queste, che per il loro diverso peso specifico vengono a galla diversamente a seconda dell'agitazione e della composizione del mare in cui sono...
Un'osservazione ci viene spontanea sulla Babele della psicoanalisi contemporanea, i cui filoni sembrano spinti da una forza centrifuga che si rispecchia anche in questi seminari, e la cui insopibile bellicosità ha fatto capolino anche qui, coll'augurio di "liberare la Klein dai kleiniani", cui una persona del pubblico rispondeva domandandosi se era proibito nominare Jung... Ahimè fra una po' arriveremo al pluralismo istituzionalizzato e alla par condicio anche qui? Fra l'uno e l'altro l'effetto di estraneazione e incomunicabilità è forte, per non parlare della distanza che sembra esserci ormai fra chi è di provenienza clinica 'pubblica' e chi di provenienza filosofica privatistica. Il mondo visto dalla stanza d'analisi individuale, rispetto al mondo visto dalla stanza di consultazione familiare/gruppale sembrano grandezze incommensurabili. Ognuno vede un'immagine della realtà, deformata dalla inevitabile soggettività degli strumenti di osservazione, e costruisce un mondo di 'costruzioni' appunto, basati sulla sabbia dell'immagine da cui parte. Come non pensare a una serie di edifici traballanti costruiti in una zona ad alto rischio sismico... D'altronde quella di vivere nel terremoto era una metafora di qualche tempo fa...
E torna il sospetto che tutto non sia limitato a una ridda di linguaggi diversi dove il linguaggio stesso, strumento di comunicazione e di pensiero e di conoscenza della realtà, di per sè inconoscibile, si vuole porre esso stesso come oggetto, sostituendo la realtà... Che il linguaggio e la mente stessa, "dono non richiesto all'umanità", siano l'origine di tutti i problemi della vicenda umana ogni tanto si ripropone come dubbio... Così come d'altronde il corpo e condizio sine qua non delle malattie e delle sofferenze, oltre che dei più rari (forse) momenti di pienezza del vivere, ove non siano solo percezioni maniacali.
(27-02-2011)
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Note
*Riccardo Galiani, professore associato di Psicologia Dinamica, insegna Dinamiche di Gruppo Sociali e Familiari e Psicopatologia delle Relazioni presso la Facoltà di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli. Candidato anziano della Società Psicoanalitica Italiana, è inoltre membro dell'Association Internationale d'Histoire de la Psychanalyse e del SIUEERPP (Séminaire Inter-Universitaire Européen d'Enseignement et de Recherche de la Psychanalyse et de la Psychopathologie). È autore, oltre che di diversi articoli, anche dei due volumi Amleto e l'Amleto nella cultura psicoanalitica (Roma, 1997) e Un sesso invisibile. Sul transessualismo in quanto questione (Napoli, 2005). Co-curatore di un'antologia di scritti sul transessualismo (Milano-Roma, 2001), per le Edizioni Borla ha curato l'edizione italiana di Umano/Disumano (Roma, 2009), l'ultimo seminario di Pierre Fédida, di cui sta preparando attualmente un volume antologico. Fonte: psiconline
** Pierre Fédida (1934-2002) psicoanalista francese, autore tra l’altro di Le site de l’étranger, ove già il titolo ci ricorda che la situazione analitica è il sito dell’estraneo). Nelle sedute di quel seminario sull’“esperienza della disumanità”, Fédida guarda
contemporaneamente al “disorientamento dell’umanità del soggetto” nelle interazioni del lattante
con l’ambiente (il “crollo” di cui parla Winnicott “… non è un’immagine, […] è il fatto che, di
colpo, realmente, si disfa un’esperienza di umanità”), all’“esperienza di scomparsa” dei
melanconici (e di tutti coloro che “soffrono per non aver potuto identificare la morte dei propri
cari”; la scomparsa infatti “non è una parola vuota, giacché non si può fare il lutto di qualcuno che è scomparso”), alla “dis-immaginazione dell’umano” nella Shoah (attraverso i testi di Primo Levi, di Hanna Arendt, di Paul Celan). Il disumano, che è cosa diversa dall’inumano, “… soprattutto si gioca nella perdita del volto, dei gesti, nella cancellazione della parola, e sul piano di tutto quello che rientra nella percezione dell’altro-simile. […] La disumanità concerne il destituire la somiglianza del simile; ciò che ne risulta è un totale disorientamento, unito a una sofferenza che tocca le più elementari identificazioni. Quando il tessuto psichico si disfa, è l’intero corpo a sparire, lasciando sussistere solo una fragile apparenza” fonte: M L Mascagni

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