sospetto di autismo nella scuola primaria: che fare?

Un'insegnante scrive per un "sospetto di autismo nella scuola primaria". Un bambino della sua classe presenta difficoltà di adattamento, di comportamento e di apprendimento che le fanno pensare possa trattarsi di autismo, o meglio, che i problemi di quel bambino possano rientrare nello 'spettro autistico'. "... sembra che la famiglia opponga una certa resistenza ad accettare questa realtà ... Nei colloqui con i genitori, anche per non azzardare diagnosi che non sono nelle nostre competenze, insieme alla mia collega, abbiamo segnalato le sue difficolta linguistiche e di pronuncia, consigliando un intervento logopedico..."
Dopo aver descritto alcune caratteristiche del bambino, l'insegnante prosegue:
"Io vorrei chiederle se da quanto le ho detto è plausibile l'ipotesi dello "spettro autistico", e in tal caso come bisogna intervenire, se ci sono delle strategie che le insegnanti possano adottare in classe, inoltre come approcciare i genitori con delicatezza, ma presentando la realtà della situazione, anche in vista di una richiesta di un insegnante di sostegno, in quanto lo scarto fra l'andamento generale della classe ed il suo hanno reso necessaria una programmazione individualizzata che è sempre più difficile attuare contemporaneamente a quella della classe durante le ore di lezione frontale.
Sebbene non abbia fatto il nome della bambina, preferirei, per una questione di privacy, una risposta privata.
Ringraziandola, porgo cordiali saluti.".

Cominciamo dalla fine. Il

Cominciamo dalla fine.
Il 'pagamento' della mia consulenza è la pubblicazione sul sito, evitando di rendere riconoscibili gli interessati. Può inoltre essere utile ad altri che leggono. La situazione da lei descritta è simile a molte altre, per cui il rischio di riconoscimento è inesistente.
In secondo luogo: la questione che pone è importante nei suoi aspetti generali, e mi dà lo spunto di chiarire qualche aspetto della situazione, almeno a mio avviso. E' mio parere che le scuole dovrebbero limitarsi a segnalare ai genitori la presenza di problemi, di apprendimento, di comportamento, di adattamento, ecc, senza azzardare - ovviamente, ma in realtà succede spessissimo il contrario - diagnosi nè terapie. Quello che voi avete fatto, consigliare un intervento logopedico, è appunto consigliare una 'terapia': si chiama infatti anche 'terapia del linguaggio'. Mi spiace dirlo, ma è una scorrettezza che ho dovuto affrontare tante volte, e che crea problemi con e alle famiglie che si potrebbero evitare.
E' diffusissimo che le maestre facciano così, ma a mio avviso è estremamente improprio e dannoso: non tocca appunto agli insegnanti fare diagnosi e indicare terapie, e ogni terapia deve essere preceduta dalla diagnosi, che è un atto principalmente medico specialistico. Non per sciovinismo, ma per competenza sia nel versante medico che psicologico dello sviluppo, è il npi lo specialista di riferimento, per fare le indagini mirate ad approfondire la conoscenza del bambino e ricercare le cause eventuali delle sue difficoltà, a livello neurologico, psichico, ambientale. Solo a seguito dell'inquadramento diagnostico si possono dare indicazioni terapeutiche o riabilitative, ecc: darle prima di aver approfondito la conoscenza, tanto più da persone che non hanno le caratteristiche suddette, oltre che costituire un possibile illecito, può determinare danni per interventi sbagliati o impropri, - anche se questo non è ben presente alla mente di operatori che non hanno formazione medica: il motto fondamentale dei medici è, o dovrebbe essere, "primo non nuocere"; purtroppo spesso non c'è questa consapevolezza in altre professioni. In qualsiasi intervento bisogna valutare i rischi di fronte ai benefici: non esiste un intervento innocuo! In realtà non è solo il bisturi o le radiazioni o i farmaci che possono far male, bensì anche gli interventi di natura psicologica o educativa, se non inseriti nel contesto suddetto, per gli effetti che possono avviare. Oltre a poter ritardare la conoscenza di eventuali cause mediche dei disturbi.
La linea giusta è facile: dopo la segnalazione della scuola la famiglia consulta il pediatra del bambino che a sua volta invia dallo specialista, che nei casi di disturbo dello sviluppo psichico è, appunto, il neuropsichiatra infantile che, fatti gli accertamenti e la diagnosi e chiarite la situazione ai genitori (eventualmente anche dopo aver inviato a centri di secondo e terzo livello), prescrive le indicazioni opportune, inviando eventualmente in logopedia, psicomotricità e quant'altro. Di solito, ance se non sempre, si riesce ad avviare questo percorso con un po' di tatto e di pazienza. In casi estremi, se la famiglia non 'collabora' e ci sono sospetti di trascuratezza del bambino, la scuola può e deve segnalare la cosa al servizio sociale. Ma è un atto estremo, foriero spesso di pesanti conseguenze, da valutare con attenzione e responsabilità. Di fronte a rifiuti dei genitori anche noi spesso non sappiamo che fare. Il più delle volte si attende, spesso ritornano.
Come dicevo è estremamente diffuso che si faccia il contrario, mettendo il carro davanti ai buoi, cioè facendo una quantità di interventi, logopedici, psicomotori, riabilitativi o educativi in generale, prima di aver fatto una valutazione diagnostica completa.
A maggior ragione quanto sopra vale per l'attivazione delle procedure per la 'Legge 104' - in vista dell'attribuzione del 'sostegno' scolastico. In tal caso le varie regioni hanno forse procedure diverse. In Toscana deve essere il pediatra ad attivare la procedura con l'INPS per via telematica e la famiglia poi deve rivolgersi a un patronato per fare la domanda di visita. Solo a seguito dell'accertamento medico-legale, cui la famiglia deve portare la documentazione in suo possesso, e del riconoscimento del diritto in base alla suddetta legge, può essere attivato il sostegno scolastico e il Piano Educativo Individualizzato.
Spero possa essere stato utile questo chiarimento.
Cordialmente

PS sulla mia opinione riguardo al cosiddetto 'spettro autistico', può leggere qui

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