L'attesa

Buongiorno, torno a scriverle dopo anni.. perché sento di aver bisogno di aiuto.
Anni fa le avevo scritto per una relazione travagliata che non mi rendeva felice da cui non riuscivo a staccarmi.

Oggi il mio problema è diverso, convivo da un paio d'anni con un uomo che mi ama e con cui sto molto bene. Una relazione stabile, priva di altalene emotive che funziona senza che mi debba "impegnare" o "sforzare" e che quindi mi da modo di pensare a progetti personali e di coppia.
Da più di un anno stiamo cercando di avere dei figli. Io non sono ormai più una ragazzina, ho 39 anni (il mio compagno 36). Da quando abbiamo iniziato a tentare ho avuto 4 aborti spontanei, sempre piuttosto precoci. Due si sono risolti da soli (talmente precoci che mi hanno detto che neanche dovrei considerarli aborti..) e due sono stati un po' più complicati e hanno richiesto tempo per risolversi. Uno è stato un aborto ritenuto e mi hanno trattato in ospedale con la ru 468 (dopo una serie di tentativi con medicinali prescritti dalla ginecologa che non sono serviti a nulla se non a farmi stare male fisicamente). L'ultimo (a maggio) è stato un aborto extrauterino angolare, sono stata ricoverata in ospedale per una settimana e mi hanno fatto due iniezioni di methotrexate.
Quindi ora devo attendere 6 mesi che si smaltisca il farmaco e poi posso riprovare (a partire da fine novembre).
Sono state tutte gravidanze naturali se si esclude qualche prova a integrare con progesterone (tentativi inutili di tenere la gravidanza) e un altro farmaco per abbassare la prolattina (poi smesso perché mi faceva stare male abbassandomi la pressione che di mio è già sempre molto bassa).

Dall'ultimo aborto sono seguita dal centro "aborto ricorrente" presso l'ospedale della mia città, che mi ha prescritto nuovi esami per cercare di capire cosa c'è che non va. Mi hanno anche inserito in una lista (piuttosto lunga) per la procreazione assistita (anche se non mi è molto chiaro a cosa possa servire se il mio problema è portare avanti la gravidanza e non il rimanere incinta..).
Sono piuttosto scettica ma farò tutto quello che c'è da fare, non riesco ancora a rassegnarmi. In realtà penso che non ci sia chissà quale problema ma che sia semplicemente la mia età e di conseguenza la qualità dei miei ovociti a non essere buona.
Penso di essere arrivata troppo tardi.. di aver perso tempo dietro a fidanzati "bisognosi" e/o indecisi e che la vita sia beffarda.
Sono arrabbiata, con me stessa, con il destino e con la vita. Alle volte vorrei spaccare tutto. Oscillo fra la rabbia e l'apatia. Non riesco a trovare qualcosa che mi stimoli, ho perso interesse per tutto. Vado al lavoro (a fatica) e cerco di fare 'il mio dovere" anche perché non voglio pesare troppo sul mio compagno con cui mi confido e che cerca di fare il possibile per farmi felice. Ma felice non sono.
Questa cosa sento che ha minato anche molto la mia sicurezza, provo ansia e mi angoscio facilmente. Sul lavoro non ho mai avuto grossi problemi, ho un ruolo di capoufficio e sono sempre stata piuttosto 'decisa'. Ora invece mi accorgo ad esempio che cerco di defilarmi, nelle relazioni con altre donne (colleghe e madri) mi sento alle volte insicura, come se valessi di meno.
Mi sento incapace.
Poi c'è il disagio (se non proprio la crisi) e l'invidia quando sento l'ennesima collega diventare madre o lamentarsi dei figli.
Da sempre penso che nella vita molte cose accadano (nel bene e nel male) senza una ragione e di avere un potere molto limitato nei confronti del caso. Anzi, mi sembra che a me funzionino meglio le cose a cui tengo meno e per le quali non mi impegno particolarmente. Non so quanto sia quindi la questione di "mancanza di controllo" degli eventi a farmi stare così male.
Ma la rabbia c'è ed è forte. Verso me stessa che ho perso tempo, verso la vita di cui davvero spesso non capisco il senso (che vuole da me??? Ha un altro disegno che non capisco?? Si riduce perlopiù a tener duro e cercare di accontentarsi dei momenti di calma?) La rabbia anche nei miei incubi dove mi ritrovo vittima di una banda di violentatori e io poco prima di essere presa penso "ora vorrei morire, così da non dover subire quello che mi accadrà, ma come?".
So che è stato un periodo difficile, un anno iniziato già molto male con grandi preoccupazioni per problemi di salute importanti di mio padre, arrivati all'improvviso (che oggi sembra si stiano fortunatamente risolvendo). Un periodo di alti (i momenti in cui rimanevo incinta) e bassi (gli aborti e il tumore di mio padre).
Inutile dire che le ultime volte che sono rimasta incinta, sono passata da:
- fase di ricerca (non più spensierata),
- fase di gioia al test positivo,
- fase immediatamente successiva di paura che qualcosa potesse andare storto con sforzo di "cercar di pensare positivo" e di distrarmi,
- frustrazione-rabbia-disperazione-apatia (emozioni circolari).

""Fortunatamente"" non sono mai arrivata alla gioia di sentire il battito e quindi non ho fatto in tempo a riconoscere nei miei embrioni "un bambino", "una vita" (non sono credente). Non ho fatto in tempo ad affezionarmi (ho forse ho volutamente evitato di farlo). Ma il sogno e l'immaginazione lavoravano e lavorano.. Per cercare di distrarmi dai pensieri "romantici" mi concentravo sulla risoluzione di problemi pratici (dove poter mettere la culla, la scelta del passeggino, una casa più grande?).
Forse per questo non mi sono mai sentita mamma (né mamma speciale ..), ma solo una mamma mancata. Una persona che non avrà modo di sperimentarsi in quella nuova avventura.

E ora di nuovo l'attesa, in questo caso l'attesa di poterci riprovare; e il tempo che passa, io invecchio sempre più e si riducono sempre di più le possibilità.

Che fare? Aspettare? Aspettare che il tempo (quello benevolo) mi aiuti a sentirmi meno male e forse a rassegnarmi?

Provo a pensare ad altro, cerco qualcosa che possa farmi sentire realizzata ma non riesco a trovare niente, il lavoro va, ho una posizione sicura e buona, non mi piace particolarmente ma di ricominciare altrove non ne ho voglia e non saprei neanche dove.

Il mio compagno è molto più "sano" ed equilibrato di me, è positivo, si appassiona allo sport e alle cose, e da quando sta con me ha il desiderio di "migliorarsi", ha imparato a nuotare, ora si è iscritto all'università.

Io cerco qualcosa che non sia "dovere" ma che mi appaghi ma non riesco a trovare nulla al momento.

Grazie

Buongiorno. E' riuscita

Buongiorno.
E' riuscita quindi a uscire dal circolo vizioso in cui si era ritrovata e ora si ritrova di nuovo in una specie di circolo vizioso che blocca la sua evoluzione personale, in questo caso verso la funzione e il ruolo di madre: mi sembra che si senta impotente, come se quello che blocca non dipendesse anche da Lei, questa volta. Non sono al corrente delle cause mediche degli aborti ripetuti, ma forse potrebbe non essere inutile - anche per la sua elaborazione di questi eventi - che Lei cercasse di approfondire gli aspetti psicologici di questa sua fase di passaggio - per ora interrotta - alla maternità, e le possibili implicazioni connesse. Se crede possiamo provare ad esplorare questo campo.

Buongiorno, si, grazie. Mi

Buongiorno,
si, grazie.

Mi sento sicuramente impotente.
Non mi è chiaro cosa intenda con "come se quello che blocca non dipendesse anche da lei"
In effetti penso che dal momento che faccio quanto possibile dal punto di vista medico, non rimanga molto altro da fare se non affidarsi alla sorte. Non capisco se intende dire che potrebbe esserci anche una qualche causa psicologica al non riuscire a portare avanti le mie gravidanze. Intende questo?
Se così fosse non esiterei un attimo a rivoltarmi il cervello come un calzino per risolverle. Ho sentito di donne che non riescono ad avere figli e quando si decidono ad adottare "come per miracolo" rimangono incinta. Ho sentito di altre che cambiano casa, magari allontanandosi dai suoceri ( :) ) e “come per magia” dopo anni di tentativi ecco che arriva il pargolo.
Non ho mai sentito nulla circa donne che effettuando un cambiamento, riducendo lo stress, o altro, riuscissero a non abortire più.

O forse intende che non sono gli eventi della vita che bloccano l’evoluzione di una persona ma come questi vengono vissuti e rielaborati? Perché una persona potrebbe ad esempio rielaborare il non riuscire ad avere figli rispondendo a quel bisogno in altro modo ad esempio provando ad adottare un bambino oppure facendo volontariato oppure diventando Super Zia, o pendendo un cane, o due gatti... O prenderla in modo filosofico e vivere appieno “l’oggi” in tutti i suoi colori (comprese le tinte marroncine) prima di ritornare da dove si è arrivati. Oppure in maniera “buddista” e concepire tutte gli eventi negativi come occasioni di crescita ed evoluzione, verso un livello successivo di consapevolezza (detta così sembra un po’ un videogioco…)

Noto ora il "questionario adulti". Può essere utile che lo compili?

In effetti nel suo post

In effetti nel suo post sembra come se i contenuti abbiano preso una velocità sempre più elevata, come in un video gioco in cui sia rimasta presa... Non so se il questionario adulti sia un modo di uscire dal video gioco. Io le proponevo di esplorare la situazione in cui si trova presa, diversa da ogni esperienza precedente, forse.

La velocità forse è il tempo

La velocità forse è il tempo che sento scappare via e con il tempo le possibilità.
Il tempo non mi appartiene più (mi è poi mai davvero appartenuto??), è cresciuto, è autonomo e ha preso la sua strada. Non abbiamo un gran bel rapporto perché quando dovevo non me ne sono presa cura, non gli ho dato le giuste attenzioni.

Veloce, poi lenta, poi veloce e ancora lenta..non vado mai alla velocità giusta io.
Sono false partenze.
Gli aborti sono false partenze.

Ora sono in mezzo ad altre persone, mi stavo lasciando andare alla tristezza, mi sono alzata e sono andata in bagno a ricompormi un attimo e ho avuto un flashback.. mio padre che mi "usa" per far forza a mia nonna al rientro dal funerale del mio amato nonno dicendo: " non piangere, guada ..., vedi? Lei non piange."
Avevo sui cinque anni, chissà se avrei voluto piangere e chissà che cosa ha capito la me di allora di tutto quello che stava accadendo..
Forse ho avuto questo flashback adesso perché uso il ricordo, la voce e quelle parole di mio padre per ricompormi. E' affascinante la mente. Anche lei, come il tempo fa quel che vuole.

Riesco ad accettare il fatto

Riesco ad accettare il fatto di essere impotente, mi ci sono sentita spesso. E' il sentirmi Incapace che brucia di più forse. Forse è perché è la vocina interna più cattivella e insidiosa. La conosco quella voce, è quella a qui di solito rispondo con la rabbia o con l'ironia (per le cose non importanti) So che non dovrei darci peso ma a volte non ci riesco.

L'aborto è il fallimento

L'aborto è il fallimento della 'collaborazione' fra il bimbo e la madre necessaria per permettere la nuova vita. E' una collaborazione istintiva, naturalmente determinata, che può fallire per cause a volte sconosciute, credo, nonostante i progressi della ginecologia.
Il suo flash back fa pensare a una collaborazione imposta, in qualche modo, innaturale, che mirava apparentemente a soffocare normali reazioni emotive come quelle di un grave lutto. Anche Lei sta passando diversi lutti, e sembra voler soffocare la sua normale reazione emotiva usando quel ricordo. Chissà perchè suo padre non voleva che la nonna piangesse la perdita del marito. Deve essere uno dei suoi ricordi più antichi, vista la sua età di cinque anni allora. Deve esserne rimasta colpita, probabilmente: sembra identificarsi con suo padre per reprimere il pianto per i suoi bambini non nati, quasi associati al nonno morto, che amava molto.
Sembra usare, nel testo, una specie di ironia, umorismo, quasi, in alcune battute sul tempo e sulla mente. Forse anche questo serve a distaccarsi dai sentimenti di lutto. Ma a me sembra che è bene viverlo il lutto. Se non si piange in certe situazioni, quando si piange allora... Come dice il poeta " se non piangi, di che pianger suoli...?", che riguarda appunto dei bambini morti...

Impotenza vs incapacità Di fronte a certe cose è normale sentirsi impotenti, come piccoli esseri umani nell'universo incommensurabile troppo superiore alle nostre capacità. L'incapacità è invece vissuta come una colpa... Come se gli aborti fossero colpa sua, fosse a causa sua che la collaborazione non riesce.
Cerchi di concedersi il lutto, come una cosa normale, quando si perde qualcosa di importante. Può darsi che riesca a liberarsi dei sensi di colpa e di incapacità, almeno un po'.

Grazie, per la sua risposta e

Grazie, per la sua risposta e attenzione.

Piango, solo che tendo a farlo da sola.
Ma come funziona il pianto? Ho sempre pensato che fosse un buttar fuori dolore quando il corpo ormai ne è colmo. Ho l'impressione però che sia solo quello in eccesso a uscire e il resto resti incastrato dentro.

Tendo a piangere da sola non per vergogna ma perché lo ritengo più liberatorio, se sono con altre persone presto mi capita di preoccupandomi di sollevarle dal bisogno di dover fare o dire qualcosa o di non farle soffrire (con i miei genitori). È una risposta automatica anche se immagino che la tristezza abbia una qualche sua "funzione", forse quella di permetterci di avvicinarci di più agli altri e a noi stessi.
Probabilmente è una cosa "appresa", i miei genitori hanno sempre avuto difficoltà ad avvicinarsi a me emotivamente. Mio padre a volte sembrava quasi infastidito se non arrabbiato quando mi mostravo triste (forse per senso di impotenza o incapacità a comprendere) e mia madre tendeva a "sostituirsi" drammatizzando oltremodo tanto da farmi tagliar corto prima di passare da consolata a consolatrice (infastidita per il ruolo usurpato).
Mi spiace per la me bambina del tempo perché nonostante mia madre mi descrivesse come una bimba allegra ricordo di essermi sentita spesso incompresa.
Mio nonno ebbe un infarto mentre stavamo giocando io e lui, ricordo che lui cominciò a emettere dei versi, forse per il dolore, io ridevo pensando fosse un gioco. Arrivò mia madre, mi prese e mi chiuse in camera da letto. Rimasi lì mentre arrivava l'ambulanza.

Mi è mancato tanto, soprattutto nella pubertà e in adolescenza quando mi sentivo sola, ero convinta che lui mi avrebbe capita.
Quando ero bimba pensavo a mio nonno come angelo custode, da più grandicella è stato un amico con cui passare del tempo e condividere passioni (leggevo i libri commentati da lui) e poi crescendo si è un po' perso. I ricordi, le foto, i suoi libri mi hanno aiutato a tenerlo con me per il tempo di cui avevo bisogno.
E' strano affrontare la morte di chi non è nato. Non ci sono ricordi se non quelli che riportano a me, a come mi sentivo felice ed emozionata.

Mi ha fatto effetto che lei abbia scritto "bambini non nati". Ha portato l'attenzione fuori da me, verso ciò che ho perso. Io lì tendo a non guardare. Non penso sia il termine corretto ma "mi impressiona". Forse incidono le pratiche mediche che si adottano in queste circostanze, tendono a de-personalizzare. Il tuo corpo, ispezionato e maneggiato non ti appartiene più e il bimbo non è bimbo ma un insieme di cellule. Quest'ultimo pensiero pensavo però che potesse aiutare.

E' la Fallaci che ha scritto

E' la Fallaci che ha scritto 'lettera a un bambino mai nato', credo dopo un aborto. Non so com'è, non l'ho letto, ma il titolo è evocativo. Non è ben chiaro quello che scrive, mi sembra, nelle righe seguenti a "bambini non nati". Cosa la 'impressiona', cosa tende a non guardare.

Il dispiacere per se stessi bambini forse alimenta un atteggiamento autocommiseratorio che spesso non aiuta ad affrontare le difficoltà ("povero bambino con genitori non comprensivi e l'unica persona buona, il nonno, è morto in modo così drammatico"). A Cenerentola va bene, incontra il suo principe azzurro, ma non è detto che poi non vengano altri problemi, e le fiabe non dicono come affrontarli, perchè in genere si occupano dell'adolescenza e , superata questa, "tutti vissero felici e contenti". La vita adulta invece richiede di lasciare le fiabe e le illusioni infantili e adolescenziali e di occuparsi della realtà esterna, delle persone esterne in particolare, ma non in modo solo tecnico e meccanico, come fanno spesso medici e altri cui si delega di occuparsi di parti del corpo o anche della mente, quasi fossero macchine.

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