RITARDO DEL LINGUAGGIO ED ALTRI PROBLEMI

E’ frequente che i genitori, spontaneamente o spinti da osservazioni di conoscenti, chiedano una valutazione perché il loro bambino non parla all’età giusta o comunque parla meno di quanto atteso. Anche su molti siti di Medicina on line questo è un argomento abbastanza frequente nelle richieste di consulti in Pediatria. Può essere utile fare una ricapitolazione dell’argomento.

Sviluppo normale e variazioni nella norma

Normalmente, cioè nella maggioranza dei casi, i bambini dopo un periodo di gorgheggi e giochi con la voce che vanno sotto il nome di lallazione, cominciano a dire le prime parole a scopo di richiamo e comunicativo verso i dodici mesi di età, epoca fatidica anche per i primi passi del cammino autonomo. Progrediscono in modo variabile attraverso una fase più o meno lunga di lingua ‘privata’ e verso i due anni già possiedono un linguaggio piuttosto ricco nella lingua materna, sia per comprendere che per esprimersi. Espressione e Comprensione, cioè capacità di parlare e capacità di comprendere le parole sono due aspetti fondamentali del linguaggio, che non sempre procedono in parallelo, nei primi anni. Vari bambini mostrano di comprendere bene ma tardano ad esprimersi a parole. Anche la pronuncia a volte può mantenersi con aspetti infantili più a lungo che di norma ma - a meno di anomalie della bocca e dell’apparato laringofaringeo, che possono essere verificate dal dentista e dall’otorinolaringoiatra (prima fra tutte la palatoschisi che viene però normalmente diagnosticata alla nascita) - le banali dislalie, cioè le tipiche anomalie infantili di pronuncia, regrediscono di norma spontaneamente e possono richiedere un intervento correttivo logopedico solo se si mantengono dopo i cinque, sei anni. Queste vanno distinte dalle ‘disartrie’ che sono difficoltà di articolazione delle parole dovute a malattie del Sistema Nervoso congenite o acquisite, in particolare del sistema cerebellare.
Le situazioni di biliguismo, cioè con genitori che parlano una differente lingua materna, sono spesso associate a uno sviluppo del linguaggio un po’ atipico, che tende di solito a normalizzarsi verso i tre, quattro anni.

In una minoranza di casi il linguaggio, specialmente quello espressivo, cioè la capacità di parlare, ritarda a manifestarsi. Si può trattare in questo caso di un semplice ritardo del linguaggio, che viene ammesso come tale fino all’età di tre anni, per tradizione, oppure di un più serio problema di linguaggio o di sviluppo, talvolta collegato a patologie definite. Nella valutazione però più importante dell’età è il comportamento e lo sviluppo globale del bambino, nei suoi aspetti rivolti alle persone, alle cose, all’ambiente e alle interazioni e comunicazioni in generale. Va quindi valutato il comportamento e lo sviluppo globale del bambino e l’interazione e la comunicazione con le figure principali della famiglia e vanno escluse le condizioni patologiche in cui c’è un deficit del linguaggio.

Patologie con difficoltà di linguaggio

Per prima cosa va escuso ovviamente che il bambino sia sordo, cosa che a volte può sfuggire ai primi controlli anche al giorno d’oggi e alle nostre latitudini e che ovviamente comporta –se non trattato opportunamente- il non imparare il linguaggio parlato. La sordità va diagnosticata dallo specialista in Audiologia, ramo dell’Otorinolaringoiatria, e vanno attuati tutti gli interventi necessari di protesizzazione, educazione e supporto.
Se troviamo un ritardo nello sviluppo psicomotorio globale allora il ritardo del linguaggio potrà essere correlato con le condizioni generali del bambino. Vanno ricercate eventuali cause possibili del ritardo globale e vanno valutate qui eventuali patologie encefaliche più complesse, prenatali o postnatali - che possono interferire con lo sviluppo linguistico e psicomotorio globale che non sempre si manifestano precocemente con caratteri evidenti.
Possiamo trovare inoltre un bambino con difficoltà di linguaggio che ha capacità ben sviluppate in alcuni ambiti, come nel muoversi, nel manipolare gli oggetti, eccetera, ma non nel relazionarsi con le persone e nel comunicare e che può mostrare difficoltà nel controllare reazioni emotive di fronte a frustrazioni o limiti. Si parla di Disturbi Specifici del linguaggio, privilegiando l’aspetto linguistico su quello emotivo comportamentale, ma il campo è ancora piuttosto poco chiarito e si mescolano aspetti di apprendimento più specificamente linguistici, di comprensione e o espressione, con aspetti psicoaffettivi di apprendimento a controllare le emozioni e le reazioni comportamentali.

E’ opportuno ricordare qui che il linguaggio è solo la ‘ciliegina sulla torta’ che completa l’interazione e la comunicazione del bambino col suo ambiente, ma che esso è preceduto dallo sviluppo delle capacità di attenzione e interazione con le persone circostanti che inizia fin dalle primissime risposte ‘riflesse’ (sembra per opera dei famosi ‘neuroni specchio’) di ripetizione imitativa di semplici azioni come lo sporgere la lingua in risposta ad un adulto che, di fronte a lui, fa altrettanto. Prima del linguaggio, un bambino impara a conoscere il suo ambiente, a interpretare la quantità di segnali che gli arrivano e a comunicare con una quantità di mezzi, a partire dal pianto per la fame o per il disagio, in interazione con le risposte che riceve. Impara inoltre a sopportare frustrazioni e limiti e regole in stretto rapporto con le modalità educative e di funzionamento ambientali. Bambini vissuti in ambienti privi di linguaggio e con interazioni ambientali inadeguate (di cui abbiamo esempio – oltre che in sporadici casi di bambini ‘selvaggi’ cresciuti incredibilmente in ambienti non umani, - in bambini adottati provenienti da istituti di altri paesi in condizioni al limite) mostrano ritardo e difficoltà nell’apprendimento del linguaggio, associato di solito con altre difficoltà e incertezze di adattamento e contatto sociale.

In misura molto maggiore dei precedenti, i bambini con disturbi pervasivi dello sviluppo, fra cui l’autismo, hanno difficoltà e ritardo ed aspetti atipici anche nel linguaggio, oltre che nel comportamento, nell’uso degli oggetti e nell’interazione sociale, ma il loro disturbo riguarda appunto non solo il linguaggio ma tutte le modalità di comportamento e comunicazione, il contatto con l’ambiente, l’uso degli oggetti nonché spesso strane manie e abitudini. (Nota 1)

Molto raramente si verificano casi in cui non si sviluppa il linguaggio parlato, senza la presenza di patologie neurologiche o psichiche né di caratteristiche ambientali anomale. Si parla in tali casi di audimutismo o disfasia di sviluppo. Praticamente non sappiamo ancora nulla delle cause di questo disturbo e nessuna terapia, medica o logopedica o psicologica è stata finora in grado di modificare la mancanza del linguaggio espressivo. In tali casi è importante facilitare lo sviluppo di modalità di comunicazioni alternative basate sulle abilità visive gestuali e simboliche (quali la tecnica di Comunicazione Alternativa Aumentativa) che possono essere favorite dall’uso di immagini cartacee e di strumenti audiovisivi, in primo luogo computer opportunamente predisposti.

Un caso a parte, ugualmente raro, è quello di bambini che nel secondo o terzo anno perdono le capacità linguistiche che avevano acquisito, in particolare il linguaggio espressivo, in assenza di altri sintomi neurologici o comportamentali. In tali casi si trova spesso un elettroencefalogramma molto alterato, specie nel sonno. Si tratta di una forma di epilessia (epilessia/afasia o sindrome di Landau Kleffner), da curare opportunamente in centri specializzati.

Esula da quest’ambito il cosiddetto ‘mutismo elettivo’ (o ‘selettivo’) in cui un bambino parla solo in ambiente familiare ed è completamente muto in altri ambienti, come la scuola e con gli estranei. Si tratta in questo caso di un rifiuto di parlare in un bambino che possiede un linguaggio normale: questo strano comportamento è interpretabile come una particolare manifestazione di disagio psicologico e ambientale e richiede solitamente un intervento psicoterapico rivolto al bambino e alla famiglia. Si ritrova con una certa frequenza in bambini figli di genitori immigrati.
Esula da quest’ambito anche la balbuzie, che non è un problema di linguaggio ma di fluenza della parola, che può essere parafisiologica per un periodo, intorno all’età di tre anni o mantenersi nel tempo, e su cui nulla di certo è conosciuto, al di là della ben nota importanza della tensione e dello stress.

Ritardo del linguaggio

Nella maggior parte dei casi i bambini portati a consultazione per difficoltà nel parlare presentano solo un ritardo nel linguaggio, cioè il bambino non ha ancora imparato l’uso del linguaggio come atteso per la sua età, ma lo sviluppo psicomotorio complessivo non presenta problemi o difficoltà particolari né segni e o sintomi di malattie neuropsichiche e sensoriali che coinvolgano il linguaggio. Dev’essere di norma il medico specialista in neuropsichiatria infantile ad escludere altre diagnosi neurologiche o psichiatriche. In questi casi va approfondita comunque la conoscenza del bambino e della sua famiglia per valutare l’eventuale presenza di aspetti organizzativi o interazionali o comunicativi che possono costituire un ostacolo nella comunicazione in quel particolare caso e che possono essere talora facilmente ovviati. Generalmente è più indicato un intervento sui familiari, con consigli e indicazioni sul come comportarsi col bambino, che non sul bambino stesso. E’ utile ‘implementare’ il contesto comunicativo e linguistico intorno al bambino senza focalizzarsi sulla sua produzione linguistica né forzarlo a parlare né correggerlo eccessivamente, in modo da evitare una ‘richiesta di prestazione’ che il bambino può vivere male e che può indurgli quasi una fobia del linguaggio o un effetto negativo sulla sua stima di sé. Come non si può ‘spingere’ un bambino ai suoi primi passi per accellerarne lo sviluppo, così non si può ‘spingere’ un bambino a parlare. Si rischia di farlo ‘cadere’ e di rallentarlo ulteriormente.

La capacità di sviluppare e apprendere il linguaggio parlato è innata indipendentemente dal contesto ambientale, ma il che cosa si impara, la lingua, è in stretto rapporto con l’ambiente, come si sa: un bambino impara l’italiano o il tedesco o il cinese a seconda dell’ambiente linguistico in cui è ‘immerso’. Alle competenze innate caratteristiche della specie (il linguista Noham Chomsky ha parlato di una ‘grammatica generativa’ comune alle diverse lingue e innata) si aggiungono gli aspetti caratteristici dell’ambiente umano circostante, di cui la lingua è il più evidente, ma in cui intervengono anche modalità interazionali meno evidenti ed ancora poco esplorate. Non si tratta solo di sviluppo intellettico o cognitivo di una funzione isolata: lo sviluppo del linguaggio è strettamente connesso con lo sviluppo della competenze mentali e delle modalità relazionali, emotive ed affettive, cioè dell’intera personalità. Per tutto ciò l’ambiente inevitabilmente ha il suo influsso sullo sviluppo e sui suoi tempi. Esperienze traumatiche o frustranti anche non eccessive possono rallentare lo sviluppo del linguaggio, analogamente a quanto succede a volte per lo sviluppo motorio. Ciò è condiviso da quanti lavorano nel campo, pur con sfumature diverse e con diatribe del tipo “è nato prima l’uovo o la gallina”, ovverosia se è lo sviluppo cognitivo che influenza o condiziona lo sviluppo relazionale emotivo e affettivo o viceversa.

Conclusioni

E’ quindi importante, quando si valuta un ritardo o una difficoltà di linguaggio, esplorare tutti gli ambiti dello sviluppo psicomotorio del bambino, sia quello medico biologico che quello psicologico ed ambientale, per accertare la presenza di eventuali ostacoli, o nelle caratteristiche del bambino o nella situazione ambientale o nell’interazione fra i due, che ne disturbano lo sviluppo ed intervenire su questi, per quanto possibile. A partire dagli ostacoli sensoriali (sordità) a quelli maturativi e neurologici (malattie genetiche, sindromi cerebropatiche, epilessia, autismo) a quelli ambientali (modalità relazionali e comunicative non adeguate od organizzazione familiare non ottimale o situazioni socialmente carenti). Situazioni diverse possono richiedere interventi diversi focalizzati sugli ‘ostacoli’ riscontrati. Come è norma in ogni campo non solamente medico la ‘diagnosi’ deve precedere la ‘terapia’, ed è sbagliato rivolgersi di primo acchito a interventi riabilitativi settoriali limitando l’attenzione alla sola sfera del linguaggio, come troppo spesso viene fatto. Anche perché come in tutti gli interventi c’è il rischio di ‘effetti collaterali’ negativi sullo sviluppo psicologico complessivo che vanno valutati attentamente nel rapporto rischi/benefici prima di decidere l’intervento.

Dr Gianmaria Benedetti
Agosto 2008

1) vedi però le mie 'nuove riflessioni sull'autismo (2016)'

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