psichiatria, psicologia clinica, psicoterapia, farmacoterapia,,,

Una ragazza mi scrive chiedendomi delle informazioni sui termini e i concetti indicati nel titolo.

In particolare chiede se esiste una "psicoterapia clinica", intendendo " un modo di approcciarsi a determinati problemi che " sforano" dall'ambito psicologico,per rientrare in quello psichiatrico, ma che miri ad affrontare tali problemi attraverso metodi non farmacologici..".
Una psicoterapia quindi differenziabile "da una psicoterapia "classica", diciamo, con cui intendo che è consigliata per persone con problemi o disturbi inerenti all'ambito psicologico ( e quindi non psichiatrico...sto facendo dunque una differenza,per sottolineare l'aggravarsi di una situazione o comunque una situazione già di per sè non sufficientemente "curabile" con una terapia psicologica che prescinda dalla psichiatria).

Fa l'esempio di una persona riconosce di avere un problema di tipo psichiatrico e si rivolge per l'appunto presso un medico ma non perchè vuole un farmaco (salvo determinati casi magari) ma perchè ritiene che il suo problema sia più di competenza psichiatrica che psicologica. spero di eser stata chiara..

Inoltre chiede se è vero che uno psichiatra è "automaticamente" anche psicoterapeuta,o se per diventarlo debba frequentare una scuola o comunque compier degli studi a parte ed ulteriori alla laurea in medicina,come deve fare uno psicologo..., perchè ho letto e sentito affermazioni contrastanti e vorrei capire appunto se quando ci si rivolge ad uno psichiatra si va incontro ad una persona che è anche abilitata all'esercizio della psicoterapia,o meno.

Infine,volevo chiederle,se vorrà rispondermi,cosa potrebbe succedere,se una persona a cui è stato prescritto un farmaco neurolettico lo assume nei tempi e modi indicati dal proprio medico ma senza averne "bisogno" (e con questo intendo dire, nel caso in cui il trattamento scelto fosse sbagliato ,non idoneo alla persona,se si trattasse di un azzardo ecc)... come una persona che assume farmaci per patologie di tipo fisico che però non necessita.... in particolar modo con un neurolettico, possono essere causati effetti irreversibili in una persona che non ne ha bisogno"? o è vero che una volta dismessi gli equilibri iniziali possono ristabilirsi,sempre se in modo graduale e secondo indicazione medica?

La ringrazio molto per l'attenzione
Una ragazza

La ringrazio per le sue

La ringrazio per le sue domande, che esprimono l'incertezza e la confusione che è comune ai non addetti ai lavori, e complica molto le cose. Rispondere è però più difficile del previsto, Per cui mi propongo di scrivere un articolo più esteso sull'argomento e qui rispondo alla meglio alle domande.

Cominciamo dalle domande più 'semplici', a mio parere, anche se in realtà forse sollevano un pandemonioù:
Se uno psichiatra è automaticamente anche psicoterapeuta. Per la Legge, attualmente, sì. In effetti dapprima non era così, perchè la legge che ha regolamentato le psicoterapie (cosiddetta Legge ossicini, del 1989, se ricordo bene) imponeva - dopo un primo periodo di 'sanatoria' dell'esistente - anche ai medici specializzati in psichiatria di fare un'ulteriore formazione in psicoterapia. Però questa norma è stata poi soppressa su ricorso di alcune istituzioni psichiatriche, scuole di psichiatria, ecc, che hanno ottenuto che la specializzzione in psichiatria venisse considerata automaticamente valida anche per esercitare la psicoterapia. Sono molti però a vedere in questa vicenda l'espressione di interessi corporativi e l'effetto di pressioni di lobby, più che non di interessi dei pazienti.

Effetti degli psicofarmaci, ed eventuali 'errori'. Ne scrivo anche in altre pagine, a cui rimando, ma qui posso risponderle che gli effetti non dipendono dal fatto di avere una diagnosi o un'altra, ma dall'effetto diretto delle sostanze chimiche del farmaco sulle cellule dell'organismo. Come per l'alcool, che è un tipico esempio di sostanza psicoattiva, la differenza fra una persona e l'altra dipende dall'abitudine, dallo stato dei diversi organi (fegato, reni), dalla corporatura, ecc. Anche gli effetti tossici non dipendono dalla diagnosi, dalla presenza di una malattia o no, ma dall'effetto della sostanza, sia in base alla dose che alla reattività individuale (allergia), ecc. Tutti i farmaci sono potenzialmente pericolosi, non solo quelli psichiatrici, e possono avere anche gravi conseguenze, come è noto. La scelta spesso è del male minore e del rischio minore... Certo se uno "ne ha bisogno", come dice la ragazza, si adatta anche ai rischi e ai possibili danni conseguenti. Se non ne avesse bisogno, e se riportasse dei danni, sarebbe come unire al danno la beffa. Questo come essere operato alla gamba sbagliata...

Scelta del tipo di terapia, farmacologica, psicologica, ecc. Mi sembra che sia questo l'argomento delle varie domande su psicoterapia clinica, ecc. E come differenziare situazioni 'psichiatriche' da situazioni 'psicologiche'. E cioè se uno ha bisogno dello psichiatra o dello psicologo. E specificamente di cure con farmaci oppure no.
La confusione è tanta. Un fattore di confusione è proprio il grande uso, anzi l'abuso, che viene fatto di medicine, di farmaci. Di questo sono responsabili anche i medici, gli psichiatri, che hanno indotto a pensare che medico è chi prescrive medicine, psichiatra chi prescrive psicofarmaci. Invece le medicine, i farmaci sono solo uno dei possibili rimedi a una data situazione. Anche in medicina alcune situazioni richiedono un intervento chirurgico, altre un cambiamento di abitudini, un evitamento di condizioni patogene, cioè che fanno ammalare, altre ancora un intervento sull'ambiente per eliminare sostanze tossiche, o insetti, microbi e fonti di infezione. Cioè la medicina non è solo dare medicine. Così la psichiatria non dovrebbe essere solo 'dare psicofarmaci', come invece è venuta ad essere percepita, ed anche praticata da molti psichiatri. Così un po' alla volta si è diffusa la convinzione (in gran parte giusta) che se si va dallo psichiatra si viene curati con farmaci, se si va dallo psicologo invece no.
Invece lo psichiatra dovrebbe valutare tutta la situazione del paziente per individuare gli aspetti patogeni, fonte di disagio e disfunzioni, sia nell'individuo che nell'ambiente, per dare l'indicazione a evitarli e rimediare ai danni subiti. Come il dentista con una carie, dovrebbe usare farmaci solo come aspetto minimo, per il dolore o l'infiammazione, ma agire su altre cause. In questo lo psicologo (clinico) non sarebbe poi tanto diverso dallo psichiatra, nel valutare lo stato mentale della persona e i fattori in gioco, tranne per il fatto di non essere medico e non poter effettuare indagini mediche, neurologiche, di laboratorio, ecc - oltre che di non poter dare farmaci e non poter controllare quindi gli effetti collaterali di questi. In realtà la competenza medica dello psichiatra rischia di ridursi a quella farmacologica: cioè sull'effetto dei farmaci e sui controlli medici di questi (dosaggi, effetti collaterali, ecc). Forse è per questo che lo psichiatra è così affezionato alle medicine, perchè è il suo principale collegamento col campo della medicina. Questo però non è più uno psichiatra completo, è solo uno psicofarmacologo, cioè un esperto in farmaci ed effetti di questi, positivi e negativi.

Tutto questo porta, mi sembra, a una crescente sfiducia verso la psichiatria e a una crescente difficoltà di trovare la cura "giusta". La confusione aumenta riguardo alla 'diagnosi', che dovrebbe essere la definizione del tipo di difficoltà ( 'malattia' e 'disturbo' sono parole che indicano tali difficoltà, e non altro...) che presenta il paziente, preliminare all'indicazione dei rimedi consigliabili. Ma anche qui psichiatri e psicologi litigano su di chi è la competenza della diagnosi. Gli psichiatri si arrogano la diagnosi medica, e gli psicologi quella psicologica. Come se il paziente potesse essere diverso. Finisce che se si va dallo psichiatra si riceve una diagnosi psichiatrica - cioè preliminare a una prescrizione di medicine, se si va dallo psicologo una diagnosi psicologica, preliminare all'indicazione di una 'psicoterapia' di qualche tipo. Il paziente giustamente non sa più che fare e cerca di fare da sè, come forse la ragazza in questione. Che però non è la soluzione al problema, anzi, si rischia di perdersi ancora di più.

La scelta, o l'indicazione, (dopo la diagnosi) di una terapia farmacologica o di un altro tipo di terapia o di rimedio a una data difficoltà è dunque una questione abbastanza complessa e controversa.
Dovrebbe essere una scelta del paziente, debitamente informato, come quella se operarsi o no per una data malattia chirurgica, e in che ospedale o da che chirurgo farsi operare. Questo salvo i casi di urgenza ed emergenza dove la legge prevede cure obbigatorie, tramite il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Ma anche su questo molti non sono d'accordo.
La cosa migliore che può fare il supposto paziente, a mio avviso, è forse quella di avere più informazioni, per poter poi decidere. E forse di conoscere più specialisti, psicologi e psichiatri, per valutare chi gli sembra più affidabile e credibile. Difficile e complicato, ma, in questa epoca, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

salve,la ringrazio per la

salve,
la ringrazio per la risposta alla mail e a quella pubblicata sul suo sito..!
per quanto riguarda me,non va molto bene per il semplice fatto che sia ancora
qui a chieder delucidazioni o comunque a "brancolare nel buio". o almeno,per
quanto mi riguarda non è così, ma come diceva lei nel consulto,a quanto pare
anche avendo ovviamente sistemato meglio e scritto ,aggiustato,ecc (per mio
conto) i "problemi" che mi han portato a chiedere aiuto,continua a sussistere
il famoso "problema di comunicazione" di cui anche Lei parlava,....
per far fronte a ciò ,non ho avuto modi ,strade alternative,se non un farmaco.
un neurolettico che dovrebbe far cambiare la mia forma espositiva di ciò che
provo per renderla di migliore comprensione. in poche parole quello che credo
sia passato e si sia capito è il fatto che son talmente aggrovigliata in un
dato stato mentale,solo mio,che non è possibile per gli altri capirlo mi
correggo,non per "gli altri",...,anche se lo spiego ,
perchè non c'è uno sbocco,un canale di comprensione. quello che ho ad oggi ,è
un neurolettico per sbloccare questa situazione. sarà che non mi convince non
solo ,anche se in maniera consistente, per gli effetti collaterali,la paura che
ho nel prenderlo anche solo per settimane,la paura di rovinarmi fisicamente,
quando almeno li tutto va bene e non voglio crearmi problemi,nemmeno sul piano
mentale,non meno di quello fisico. ho paura di peggiorare,di cambiare
irreversibilmente e inutilmente la chimica del mio cervello,di incorrere in
problemi che per mia natura non avrei....ho paura in poche parole d assumere
sostanze chimiche in grado di modificare quella del mio cervello. soprattutto
perchè io nasco come persona "sana". e mi sembra quasi di sputare in faccia ad
un dono,l'esser nata sana,fisicamente,neurologicamente,,mettendomi così a
rischio e compromettendomi eventualmente.. inoltre non mi convince perchè
volevo come si suol dire essere spremuta come un limone,prima di arrivare ad un
farmaco. .....mi ritrovo solo con
una scatola di farmaci che ho paura anche solo di iniziare a prendere. ho
chiesto se era possibile trovare un altro modo,se potevamo arrivare allo stesso
risultato in un altro modo,ma niente..... i fatti dicono
che io non ho strade e alternative. per questo chiedevo della "psicoterapia
clinica",avendo paura che uno psicoterapeuta con base psicologica e non
psichiatra non bastasse,ma queste sono chiaramente solo mie teorie. so bene che
stando da sola mi perdo di più ma io non ho scelto di star sola. ho chiesto
aiuto,mi sono prodigata e ho lavorato tanto ma sono rimasta comunque sola. a
volte credo,e mi freno sempre a dirlo perchè ho paura che venga interpretato
come un delirio,che io abbia un qualcosa di inedito.l'ho già scritto ,ma non lo
dico perchè lo penso così,ma sulla base di constatazioni visto che mi porto
dietro questa "cosa" perchè non so come definirla,è cambiata con me in tutto
questo tempo,senza riuscire a farla capire,nemmeno quando credevo di aver fatto
un bel lavoro,certamente migliore di quello fatto ... in cui son
stata anche un po' prepotente inizialmente, per renderlo comprensibile. avrei
avuto voglia di "lavorarci seriamente" ma non ho avuto questo. e a volte mi
vien da prendere questo neurolettico per disperazione. almeno faccio qualcosa,
almeno non rimango qui da sola con il rischio che non cambierà mai niente. è
così difficile credo pensare che io abbia un qualcosa di inedito. come è nella
natura umana negare situazione senza via d'uscita ... ...
scusi lo sfogo e l'essermi dilungata,cercavo di rispondere al suo "come
sta?"... forse ho scritto un po' troppo.
grazie ancora per le risposte

Se crede questo spazio è a

Se crede questo spazio è a sua disposizione per riprendere il discorso interrotto e cercare di capire un po' di più la situazione. Lo scopo è quello, come ho scritto sopra, di "valutare tutta la situazione del paziente per individuare gli aspetti patogeni, fonte di disagio e disfunzioni, sia nell'individuo che nell'ambiente, per dare l'indicazione a evitarli e rimediare ai danni subiti."
Per fare questo, come forse ricorda, io 'allargo il discorso' cercando di vedere il più possibile degli elementi o fattori in gioco.
Una domanda. Per cosa prende il 'neurolettico', cioè per quali sintomi o 'diagnosi'?

in risposta a quel che mi ha

.....
in risposta a quel che mi ha detto,nessuna diagnosi,nel senso che il farmaco mi
è stato prescritto per eliminare il problema di comunicazione ed esser
perciò resa comprensibile da chi ho davanti . Mi scuso ancora per il disguido
ma sono emotivamente molto provata .... mi son rassegnata al fatto che
debba vedermela da sola perchè non viene mai capito quel che ho. del resto io
anche volendo cercare di inquadrarmi da sola in tutte le possibili "diagnosi" o
problemi di tipo psichiatrico posso dire di non rientrare in nessuna...mi sento
l'unica persona al mondo a sentirmi come mi sento io.

La persona in questione

La persona in questione chiede di non pubblicare la sua mail, in cui risponde a una mia domanda e mi chiede che idea mi sono fatto di lei. Per inedito intende qualcosa non riconosciuto nè riconoscibile da altri, perchè parte di un'esperienza successa solo a lei, e mai a nessun altro. per cui è qualcosa di incomprensibile da altri e non condivisibile con nessuno.
Forse può accettare che riassuma così e pubblichi questo testo. Me lo farà sapere.

NOn vorrei sminuire quello

NOn vorrei sminuire quello che dice, ma io penso che ogni persona è inedita, e ogni esperienza è conoscibile solo in parte. Ma anche da un giorno all'altro una persona è diversa, in qualche cosa, e inedita, nuova.
Dentro ciascuno c'è solo lui o lei stessa, che guarda 'fuori' da un punto di vista soltanto suo. Ogni esperienza individuale è impossibile che sia riprodotta esattamente nel tempo e nello spazio. Ogni storia è esclusivamente personale. Anche due fratelli gemelli nella stessa famiglia non vivono esattamente le stesse esperienze, e ognuno le colora di qualcosa che è esclusivamente suo.
Con tutto questo però abbiamo imparato a comunicare e a riconoscere esperienze simili e a immaginare anche cose e vissuti che non abbiamo vissuto direttamente. Per cui proviamo sentimenti anche per avvenimenti successi prima che noi nascessimo o in luoghi dall'altra parte del mondo.
Quando le difficoltà di comunicare e di comprendersi almeno un po' superano le normali diversità e incomprensioni e incomunicabilità, possiamo pensare o di essere completamente diversi dagli altri, inediti, o che ci siano degli ostacoli in più alla comunicazione e alla comprensione. Io penso che c'è modo di conoscere questi ostacoli e di diminuirli o trovare la strada per aggirarli e su questo sito sto tentando qualcosa del genere.
Quanto all'idea che mi sono fatto di Lei, non so assolutamente rispondere. Mi sembra che possa essere quella di una persona che sta provando a instaurare un contatto, una comunicazione, ma che ne ha un'estrema paura, ma nello stesso tempo anche desiderio di provarci.

Se vuole continuare, può decidere Lei quello che può essere pubblicato e quello no, e forse possiamo andare avanti.
drGBenedetti

Salve, le scrivo dopo un po'

Salve,
le scrivo dopo un po' di tempo sperando magari di poter continuare qualcosa,in questo spazio...
La mia situazione attuale,a grandi linee,volendo descrivere il disagio forse più saliente consiste in una forma d'ansia,che non riesco a capire da cosa prrovenga. perchè sono sicura che mi "provenga" da qualcosa e che ci sia qualcosa sotto (ho proprio questa sensazione) ma non riesco a risalirci ... a volte è come se quest'ansia fosse quasi una fuga per impedirmi di "vedere" quello che c'è sotto....spesso ho questa sensazione anche se potrebbe essere errata... il problema non è l'ansia di per se stessa perchè sono sicura che un modo per gestirla riesco a trovarlo... il problema si pone quando ho il sospetto che si celi qualcosa sotto che non riesco a vedere in qusto momento e a volte la sensazione è quella di stare perennemente in uno stato "sospeso" ,creato sicuramente dalla mia mente,magari anche più consapevolmente all' inizio,anche se poi certi meccanismi si consolidano talmente da diventare quasi automatici,per sfuggirer a qualcosa che per un motivo o per l'altro o non rieso a sopportare,o non posso affrontare,o si tratta di una situazione senza un'effettiva e tangibile via dìuscita,per questo la mia mente se ne crea una a sua volta... so che può sembrar strano ma spesso ho questa sensazione perchè per il resto credo di aver trovato miei modi personali per riuscire a gestire i "sintomi"...e anche eliminarli definitivamente in molti casi,e credo di aver atto molti progressi... il punto è che oltre un "tot" non riesco ad andare e ho il sospetto che sia per i motivi di cui sopra.... ache se non posso esserne sicura al cento per cento... è difficile orientarsi quando si è nei "meandri della propria mente".... quindi non do per certo e sicurissimo nulla,si tratta di cose probabili ma non certe... ho paura di entrare in un circolo vizioso per cui queste ansie (che a volte si manifestano anche con tic,purtroppo) siano alimentate da un qualcosa di "reale" nella mia vita che non mi lascia scampo o via d'uscita..è come se avessi paura di qualcosa...qualcosa che ha sede in me,mnon qualcosa di proveniente dall'esterno... spesso ho tic che io definirei "compulsioni" ,perchè hanno spesso il fine di scacciare delle sensazioni... ma non riesco (fortunatamente) a "inquadrarmi" nel doc,perchè non ho ossessioni di nessun genere... non ho nessun pensiero o idea fissa che mi tormenta,non ho pensieri intrusivi... ... semmai provo delle "sensazioni" a volte di cui ho paura ,sensazioni concernenti me ,il mio corpo,la mia persona e a volte certe cose mi creano un'ansia che si manifesta in questi modi..per me il problema è "risalire" a qualcosa...spesso guardandomi dentro son riuscita a capire molte cose di me..questa è per ora la conclusione a cui sono arrivata... sono positiva e sono sicura che potrò farcela,quello che mi spaventa invece è il resto,cioè, ammesso che io mi liberi di tutte queste ansie,queste paure,queste fughe da me stessa,queste somatizzazioni,tensioni,potrò affrontare quello che c'è sotto? questa è l'unica cosa che mi spaventa realmente,perchè si traterebbe di "eventi" e di un vissuto,non di qualcosa che riguarda "la mente" in tutte le sue manifestazioni un po' "alterate",diciamo così...

Sono lieto che provi ad

Sono lieto che provi ad utilizzare questo spazio. Spero che possa esserle utile.
Ha ragione a dire "è difficile orientarsi quando si è nei "meandri della propria mente", a volte ci si trova, in tutto o in parte, come in un labirinto... Può essere utile avere qualcuno con cui condividere almeno parzialmente questa esperienza, può costituire una specie di 'filo d'Arianna' per uscirne.
Nel 'Labirinto' mitico c'era il Minotauro, ed è comprensibile che uno abbia paura di incontrarlo, se si trova dentro il labirinto. A volte nei nostri sogni vediamo qualcosa di simile, come dei 'mostri' primitivi che ci terrorizzano, che impersonificano le nostre paure.

...e se queste "paure" che

...e se queste "paure" che mi conducono in questi "stati" ,fossero reali? intendo dire, se davvero mi trovassi ,una volta "tolte" queste ansie,"alterazioni" della mente,questi "stati mentali" ,etc.. davvero in una condizione e situazione senza alcuna via d'uscita? come dire,magari se una persona ha la strada spianata o comunque sia percorribile diventa facile anche aggirare ,e concentrarsi più su quella strada che su "le vie alternative della mente" (mia definizione spero non troppo ermetica..) ,ma se per motivazioni reali,e quindi non aggirabili in nessun modo questa persona si ritrova,per via di scelte sbagliate nel pasato o errori commessi (sempre nei riguardi di se stessa,non a danno di altri) la strada interrotta...forse in una situazione di stallo obbligata è più facile per la mente crearsi delle vie alternative,per una reale impossibilità di proseguire,ignorando e concentrandosi sulla "vera vita" piuttosto che su "tutto questo" che alla lunga diventa invalidante...alla fine ,visto che in gioco c'è la vita,è troppo alto il prezzo che permanere in queste situazioni comporta,"distraendosi" si può migliorare la situazione... ma se ciò non fosse appunto possibile? Lei crede che esistano situazioni senza via d'uscita...? o dare una risposta è impossibile a causa delle infinite sottilissime diverse sfaccettature delle vite delle persone,tutte diverse,irripetibili..?
Sempre saluti

"sfuggire a qualcosa che per

"sfuggire a qualcosa che per un motivo o per l'altro o non riesco a sopportare,o non posso affrontare,o si tratta di una situazione senza un'effettiva e tangibile via dìuscita,per questo la mia mente se ne crea una a sua volta"
Quello che posso dirle è che spesso "il diavolo è meno brutto di come si dipinge", cioè che le cose che fanno paura spesso , se uno riesce a darsi la forza e affrontarle, si rivelano meno difficili di come uno aveva temuto

La sua immagine, che se le strade 'reali' sono ostacolate, uno può avviarsi per "le vie alternative della mente" , e trovarsi come in un labirinto, rende bene l'idea.
Ma come si fa a decidere che non c'è una via di uscita?
Ogni labirinto ce l'ha, altrimenti non ci si poteva entrare... Si tratta di ritrovarla come nel mito di Teseo e il filo d'Arianna.

Può provare a utilizzare questo spazio per cominciare a guardarsi intorno e descrivere quello che vede.

grande stanchezza di lottare

grande stanchezza di lottare senza risultati e un fresco tentativo di suicido. mi sento in colpa ma la disperazione conduce anche a questo.
impossibilità di lavorare o studiare per questa condizione "mentale" e nessun soldo per una psicoterapia. nessuna possibilità poco aiuto e troppo dolore e solitudine.

disperazione* ,ho sbagliato.

disperazione* ,ho sbagliato.

Forse, più che

Forse, più che l'ortografia,(che ho corretto, se non le spiace), la disperazione fa sbagliare la strada di uscita, impedisce di vedere che magari è a portata di mano. Credo appunto che spesso il suicidio sia un tentativo di uscire da una situazione insopportabile, ma da una strada sbagliata. Se si riesce a trattenersi, spesso si può vedere una strada alternativa, più utile, per uscire.

Forse, più che

Forse, più che l'ortografia,(che ho corretto, se non le spiace), la disperazione fa sbagliare la strada di uscita, impedisce di vedere che magari è a portata di mano. Credo appunto che spesso il suicidio sia un tentativo di uscire da una situazione insopportabile, ma da una strada sbagliata. Se si riesce a trattenersi, spesso si può vedere una strada alternativa, più utile, per uscire.

Lei ne parla come se ogni

Lei ne parla come se ogni situazione avesse una via d'uscita..... e che il problema sia sempre nella persona che per una serie di motivazioni non ne vede lo sbocco.... ma se si tratta di vissuti e non caos mentali,situazioni mentali etc e quindi di vissuti veri e propri ,e non labirinti personali creati dalla propria mente per disparae ragioni,ma appunto eventi,fatti,ormai scritti .....e la persona in questione ci vedesse bene ,e da lontano,e pur guardandosi intorno vede che non esiste una via d'uscita... so che in questo caso chiunque potrebbe rispondere 1 "non è possibile!" (ma a me questa risposta,saprebbe di presunzione,senza conoscere la storia in tutti i dettagli ,per bene ,altrimenti esprimere un parere sul nulla è imopssibile... 2 la soluzione" è togliersi di mezzo,tra virgolette...so che lascia impotenti ma in questa mondo per quanto chiunque,me compresa,vuol credere che la soluzione esista,sempre,sembra inaccettabile l'ipotesi che non esista una soluzione ad eventi scritti...si pensa sempre che se ne può uscire in un modo o nell'altro..ma ci sono persone che seppur piccole,fanno errori,non contro gli altri ma contro se stessi,e non possono tornare indietro nel tempo e i certi casi il tempismo è tutto...ecco io credo di averle descritto la situazione attuale sopra,quella più "mentale" ed ingarbugliata,e da quella,credo che se ne esca,lo credo anche io.... ma di questo vissuto di cui le accenno,non le ho parlato....ma al di là di tutti i "preconcetti" della gente che ci vede solo pessimismo tristezza o poca volointà (nulla di più falso) etc..credo che solo il vero ascolto,completo, possa poi permettere ad un' altra persona di dare una risposta... non mi piace l'idea di una situazione così. anzi il mio sogno è averla questa strada,ma forse,ho sbagliato quando non dovevo,seppur non ne fossi così conscia .... ed è inutile dire che in certi casi,il tempismo non sia tutto.forse son situazioni rare,per questo se ne parla poco e si pensa sempre alle cose più "comuni" , e si parla in base a quelle.perchè parte dell'esperieza di pochi ( se non di nessuno...forse nessuno è mai stato stupido quanto me,al tempo,in questo mondo). ho paura di non aver soluzioni,ma devo affrontare la realtà...fose mi sto solo trattenendo da tempo,dandomi tempo,sto permanendo sospesa...se vedessi la vrità....beh il sentimento di desolazione, rabbuiamento, tristezza...sarebbe solo la conseguenza di un fatto. non un'esagerarta reazione,ma una reazione lecita ad una situazione esagerata.

Non vedere una via d'uscita

Non vedere una via d'uscita non vuol dire che non ci sia. Sarà capitato anche a Lei di cercare qualcosa e non trovarla, e di accorgersi poi, quando non la cercava più, di averla sotto gli occhi.
Quindi non è assurda l'ipotesi che, cercandola disperatamente, forse Lei non veda la via d'uscita.

Ciò non toglie che certe esperienze vissute possano essere state traumatiche ed aver lasciato un segno, un impedimento. Come quando uno si rompe una gamba, spesso la ripresa motoria è lenta, e molto dipende dall'esercizio e dalla attività. Se uno si lascia andare e non si muove i muscoli si atrofizzano ed è più difficile e lungo riprendersi.

Per la ripresa occorre valutare lo stato della parte colpita o lesionata e poi riprendere l'attività...

Fuori metafora, Lei dovrebbe quindi 'far vedere' le parti ' lesionate, sofferenti, che forse chiama 'vissuti', 'eventi scritti', che porta dentro di lei, nella sua memoria,

Spesso le memorie sono come oggetti ingombranti, che occupano tutto il posto, che impediscono di muoversi. Se facciamo un 'sopralluogo', una verifica, forse si può sgombrare un po' il terreno, senza buttare via il bambino con l'acqua sporca, ma solo trovando posto alle cose, e si può riprendere a muoversi meglio e a far ripartire le varie funzioni bloccate.

Io spero soltanto che lei

Io spero soltanto che lei abbia ragione...

mi potrebbe chiarire in che

mi potrebbe chiarire in che senso dovrei descriverle "quello che vedo intorno"?.. dove dovrei guardare..?

Forse potrebbe partire da

Forse potrebbe partire da quello che 'vede', che Le si presenta agli 'occhi'...Come quando uno è in un posto nuovo, che non conosce. Cerchi, se vuole, di non farsi accecare da quello che crede di conoscere...

diciamo che tendo a perdermi

diciamo che tendo a perdermi nel "mio mondo mentale".... Diciamo che capita di provare intense sensazioni ed emozioni in un posto tutto mio… come dire,in maniera un po' "autistica", impenetrabile..... il fatto è che non lo faccio di proposito mi viene quasi automatico per far fronte a determinate sensazioni .. tendo a portarle su "stati paralleli" (diciamo così..) e poi mi dispero perché "da lì" nessuno riesce a raggiungermi e capirmi,a capire come mi sento. non sono di proposito "ambigua",in questo senso,anzi,a me viene quasi spontaneo o automatico "spostare" certe angosce o sensazioni travolgenti e paure su un altro posto”mentale”.... ma questo crea problemi appunto a chi cerca di comprendermi. non so perchè lo faccio o cosa sinifichi non so perchè compio questa "deviazione" .forse mi sento al sicuro,è come un sentirmi protetta ma nello stesso tempo so che è disfunzionale e ne devo uscir fuori..... è che non so bene come fare, mi risulta difficile e non so tutto questo cosa significhi,in termini psichiatrici .....temo sia grave..o cmq non proprio un qualcosa di lieve.tutto questo mi depista e blocca nella mia vita.

Provi a descrivere in questo

Provi a descrivere in questo posto le cose cui si riferisce. Può darsi che possiamo trovare un modo di vederle e guardarle da più 'punti di vista'... Non dovrebbe essere impossibile.

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