mutismo elettivo / selettivo

Si tratta come è noto di bambini, per lo più in età di scuola materna o elementari, che 'non parlano' a scuola e negli altri spazi fuori dall'ambiente familiare, e in generale con estranei. Spesso riescono ugualmente a seguire l'iter scolastico senza difficoltà di apprendimento, ad avere rapporti con i coetanei e a stringere amicizie condizionate però dall'inibizione a parlare in ambienti estranei a quelli strettamente familiari. Molti tentativi di 'terapie' si infrangono spesso contro ostacoli insormontabili. E' probabile che molti di questi bambini superino col tempo almeno parzialmente la loro inibizione a parlare, ma non sappiamo bene, a mia conoscenza finora almeno, qual è la loro evoluzione. Sembra molto più raro questa sindrome negli adulti, ma qualche caso viene ogni tanto casualmente scoperto anche nella maggiore età. Alcuni casi sono probabilmente solo parziali e passano inosservati o quasi.

Il mutismo (s)elettivo è un po' una Cenerentola nel campo della psichiatria infantile. Non considerato abbastanza grave da meritare maggiori attenzioni, non abbastanza frequente da imporsi come problema, non legato (ancora) a malattie cerebrali dimostrate o supposte, è stato abbastanza trascurato dai ricercatori e dai clinici (e dal business farmaceutico) come un problema minore, ma è fonte di marcato disagio e sofferenza per i bambini colpiti e le loro famiglie. E' sfortunato anche nel nome. L'aggettivo 'elettivo', con cui da tempo è noto, viene sempre più sostituito da quello 'selettivo', pur se il significato dei due aggettivi è simile. Sarà forse per adeguarsi alle terminologie inglesi...
Dal vocabolario: Elettivo = 1 Che ottiene una carica, un ufficio attraverso un'elezione: membri di diritto e membri e.; che è conferito mediante elezione: carica e. 2 Liberamente scelto: domicilio e.
Selettivo = Che opera scelte rigorose selezionando le persone o gli elementi migliori: essere s. nella scelta dei collaboratori; basato sulla selezione: scuola s.; che è di gusti difficili ed esigenti: un tipo piuttosto s.
Sempre di scelta si tratta, quindi l'oscillazione fa i due termini mi sembra priva di senso.

E' ovvio che la 'scelta' in realtà non è libera ma condizionata da qualcosa, che possiamo variamente ipotizzare dalle persone che erano così in precedenza, e parlano di ansia, paura, blocco che in certe condizioni impediva loro di parlare e anche spesso di comunicare senza parole. Si tratta quindi in realtà di una inibizione. Conosciamo altre condizioni psicopatologiche che condividono come causa scatenante l'esposizione a situazioni sociali, di persone estranee o ambienti estranei: sono le fobie, come l'agorafobia, la fobia sociale e altre. In queste situazioni l'esposizione alla situazione temuta scatena grande ansia tanto da portare all'evitamento, rinunciando alle uscite nei luoghi affollati, ai viaggi, ecc o addirittura ad uscire di casa. Attraverso l'inibizione di una funzione o attività, l'ansia temuta viene controllata.
I bambini con ME non mostrano apparentemente paura o ansia, se non vengono forzati a parlare: se non ostacolati non mostrano segni di ansia. Questo è un aspetto condiviso anche con i sintomi ossessivi, che permettono alla persona in causa di tenere sotto controllo la loro ansia, che si scatena invece se non possono fare le loro manovre oseesive abituali.
Il mutismo elettivo appare quindi una situazione a ponte fra le sindromi fobiche e quelle ossessive, o per lo meno condivide aspetti di entrambe, in primo luogo l'inibizione della libertà di comportamento.

I bambini con mutismo selettivo possono compiere molte normali attività nell'ambiente esterno a patto di non parlare. Un letterato potrebbe proporre di chiamarla Sindrome della Sirenetta, dalla nota fiaba di Andersen in cui la Sirenetta innamorata può uscire dal suo ambiente marino per vivere in quello terrestre, estraneo a lei a ai suoi simili, solo rinunciando alla voce.
Questi bambini in effetti rinunciano a parlare e in questo modo possono uscire dall'ambiente familiare (in cui parlano senza problemi) per andare nel mondo extrafamiliare. Chissà se anche loro pagano così un fio per seguire una passione che in qualche modo è sentita contro il loro ambiente, quasi un tradimento. Anche se nulla nel loro ambiente sembra impedirglielo, anzi.
Il fatto che questa sindrome, anche se spesso incompleta o transitoria, sia un po' più frequente nelle famiglia immigrate (1) o in famiglie con aspetti relazionali e comunicativi un po' diversi da quelli più comuni, fa ipotizzare che il bambino avverta uno stacco fra ambiente familiare e ambiente extrafamiliare più marcato che di norma (come fra ambiente acquatico e ambiente aereo nella fiaba suddetta) e che 'sacrifichi' la sua voce per la possibilità di spingersi all'esterno.
Attenzione, questa non è un'attribuzione di 'colpa' ai genitori o all'ambiente familiare, ma solo una riflessione sulle osservazioni fatte, al fine di trovare la modalità più utile per aiutare il bambino e la sua famiglia.

1. Un recente articolo (2015) riferisce che il M.E. è quattro volte più frequente nei bambini di famiglie immigrate, bilingui: "Le mutisme extra-familial ou mutisme sélectif est quatre fois plus fréquent chez les enfants migrants bilingues que chez des enfants natifs monolingues. L’objectif de notre étude est, à travers une revue de littérature et une réflexion à partir d’une vignette clinique issue de notre pratique transculturelle à l’hôpital Avicenne de Bobigny, de mettre en lumière les enjeux psychoaffectifs en contexte de migration, afin de pouvoir les intégrer dans notre pratique de soins. Nous montrerons que le mutisme sélectif illustre parfaitement les enjeux paradigmatiques de la migration en reflétant la difficulté des enfants à faire du lien entre le monde du dedans (la famille et la culture d’origine, monde de l’affectivité) et le monde du dehors (l’école et la culture d’accueil, monde de la rationalité et du pragmatisme). Le mutisme sélectif entre aussi en résonnance avec les problématiques de séparation et d’individuation à l’œuvre dans le développement du langage, et les enjeux de loyauté vis-à-vis de la culture d’origine. L’approche transculturelle permet d’intégrer la culture spécifique et l’histoire de chaque patient, afin que celui-ci parvienne à opérer un métissage entre ses deux cultures."

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